Lettera Di Plinio A Traiano
Lettera Di Plinio A Traiano
NB 1. Il testo si trova nel decimo libro delle ‘Lettere’, dopo i nove libri ‘ai famigliari’. La composizione è
relativa agli inizi del secondo decennio del II secolo, prima certamente del 113, anno della morte di Plinio in
Bitinia (governatore di quella regione per incarico di Traiano -98-117 dc-).
(Domande) E’ per me un dovere, o signore, deferire a te tutte le questioni in merito alle quali sono incerto.
Chi infatti può meglio dirigere la mia titubanza o istruire la mia incompetenza? Non ho mai preso parte ad
istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto, non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o inquisire.
Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni; se anche i fanciulli della più
tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in seguito al
pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di esserlo; se
vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome.
(Operato) Nel frattempo, con coloro che mi venivano deferiti quali Cristiani, ho seguito questa procedura:
chiedevo loro se fossero Cristiani (1). Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta,
minacciandoli di pena capitale (2); quelli che perseveravano, li ho mandati a morte (3). Infatti non
dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia* e la loro cocciuta
ostinazione*. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia*, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai
che fossero rimandati a Roma. Ben presto, poiché si accrebbero le imputazioni, come avviene di solito per il
fatto stesso di trattare tali questioni, mi capitarono innanzi diversi casi.
(Libellum) Venne messo in circolazione un libello anonimo che conteneva molti nomi. Coloro che
negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver
ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo
fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia
impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani.
(Delationes) Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo
erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da
vent’anni (!). Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro
Cristo.
(Ritratto del primitivo cristianesimo) Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva
nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba (a) e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio (b),
e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né
adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero
richiesto (c). Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo,
ad ogni modo comune e innocente (d), cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le
tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di sodalizi.
Per questo, ancor più ritenni necessario l’interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per sapere
quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null’altro al di fuori di una
superstizione balorda e smodata.
Perciò, differita l’istruttoria, mi sono affrettato a richiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di
consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; molte persone di
ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno, in questo pericolo. Né
soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa superstizione; credo
però che possa esser ancora fermata e riportata nella norma.
Tuttavia certamente si vede bene che hanno ricominciato ad essere frequentati i templi già quasi deserti,
ad essere riprese la sacre solennità da gran tempo interrotte, e a vendersi il pasto delle vittime, che non
trovava quasi più compratori. Dal che è facile prevedere quanta gente si può far ravvedere se è dato spazio
al pentimento.
(LATINO - Sollemne est mihi, domine, omnia de quibus dubito ad te referre. Quis enim potest melius vel
cunctationem meam regere vel ignorantiam instruere? Cognitionibus de Christianis interfui numquam: ideo
nescio quid et quatenus aut puniri soleat aut quaeri. (2) Nec mediocriter haesitavi, sitne aliquod discrimen
aetatum, an quamlibet teneri nihil a robustioribus differant; detur paenitentiae venia, an ei, qui omnino
Christianus fuit, desisse non prosit; nomen ipsum, si flagitiis careat, an flagitia cohaerentia nomini
puniantur. Interim, iis qui ad me tamquam Christiani deferebantur, hunc sum secutus modum. (3)
Interrogavi ipsos an essent Christiani. Confitentes iterum ac tertio interrogavi supplicium minatus;
perseverantes duci iussi. Neque enim dubitabam, qualecumque esset quod faterentur, pertinaciam certe et
inflexibilem obstinationem debere puniri. (4) Fuerunt alii similis amentiae, quos, quia cives Romani erant,
adnotavi in urbem remittendos. Mox ipso tractatu, ut fieri solet, diffundente se crimine plures species
inciderunt. (5) Propositus est libellus sine auctore multorum nomina continens. Qui negabant esse se
Christianos aut fuisse, cum praeeunte me deos appellarent et imagini tuae, quam propter hoc iusseram
cum simulacris numinum afferri, ture ac vino supplicarent, praeterea male dicerent Christo, quorum nihil
cogi posse dicuntur qui sunt re vera Christiani, dimittendos putavi. (6) Alii ab indice nominati esse se
Christianos dixerunt et mox negaverunt; fuisse quidem sed desisse, quidam ante triennium, quidam ante
plures annos, non nemo etiam ante viginti. quoque omnes et imaginem tuam deorumque simulacra
venerati sunt et Christo male dixerunt. (7) Affirmabant autem hanc fuisse summam vel culpae suae vel
erroris, quod essent soliti stato die ante lucem convenire, carmenque Christo quasi deo dicere secum
invicem seque sacramento non in scelus aliquod obstringere, sed ne furta ne latrocinia ne adulteria
committerent, ne fidem fallerent, ne depositum appellati abnegarent. Quibus peractis morem sibi
discedendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum, promiscuum tamen et innoxium; quod ipsum
facere desisse post edictum meum, quo secundum mandata tua hetaerias esse vetueram. (8) Quo magis
necessarium credidi ex duabus ancillis, quae ministrae dicebantur, quid esset veri, et per tormenta
quaerere. Nihil aliud inveni quam superstitionem pravam et immodicam.
(9) Ideo dilata cognitione ad consulendum te decucurri. Visa est enim mihi res digna consultatione, maxime
propter periclitantium numerum. Multi enim omnis aetatis, omnis ordinis, utriusque sexus etiam vocantur
in periculum et vocabuntur. Neque civitates tantum, sed vicos etiam atque agros superstitionis istius
contagio pervagata est; quae videtur sisti et corrigi posse. (10) Certe satis constat prope iam desolata
templa coepisse celebrari, et sacra sollemnia diu intermissa repeti passimque venire victimarum, cuius
adhuc rarissimus emptor inveniebatur. Ex quo facile est opinari, quae turba hominum emendari possit, si sit
paenitentiae locus.
(NB 2. La riposta dell’imperatore Traiano si muoveva secondo tali punti, che passarono alla storia
come prassi legislativa vigente. 1. I Cristiani non dovevano essere ricercati dalla forza statale; 2.
Essi andavano punti qualora fossero stati denunciati come tali e trovati effettivamente colpevoli, 3.
Qualora avessero sacrificato agli dei, andavano perdonati e rilasciati, 4. Non bisognava
assolutamente dare credito ai ‘libelli’).