Geostoria Dell'Iliade 2
Geostoria Dell'Iliade 2
- XII
sec. a.C.). Essa si sviluppò inizialmente nell’area continentale della Grecia (in Attica [Eleusi e
Atene], in Beozia [Tebe], in Tessaglia) e nel Peloponneso (dove i centri principali erano Pilo,
Micene, Tirinto). Una successiva fase di espansione, che interessò l’isola di Creta (in cui i principali
centri micenei furono Cnosso, Festo e Mallia), è documentata a partire dal 1450 a.C. I secoli XIV e
XIII videro la massima espansione commerciale e culturale micenea. Dopo la distruzione del palazzo
di Cnosso (1370 - 1340 a.C.), la ceramica micenea si sostituì a quella minoica in siti chiave della
costa egea dell’Anatolia e si diffuse a Cipro, in Egitto - e strettissimi furono i contatti con l’Egitto
faraonico - e in Libia. Tra i porti dell’area egea, quello di Kommos, sull’isola di Creta, ha restituito
una tale quantità di materiali di importazione da farlo risultare uno dei centri vitali per la
comunicazione verso est e verso ovest. L’ importanza della storia greca non sta nel cosiddetto
miracolo greco, nell’avventura di un popolo che dal nulla avrebbe elaborato l’ “indice” del libro della
nostra civiltà e, per di più, avrebbe difeso questo libro dall’invasore orientale. Tale importanza
risiede invece nei risultati delle continue interazioni che i Greci hanno intessuto con le altre civiltà,
con il mondo orientale soprattutto. Ed essi stessi erano consapevoli che è dall’Oriente che nasce la
luce (Platone, Timeo). I periodi precedenti e susseguenti all’età classica sono proprio i periodi
dell’incontro dei Greci con gli altri. Il clima semiarido e il territorio prevalentemente montuoso della
Grecia hanno fatto sì che i Greci, sin dal II millennio a.C., si spargessero in tutto il Mediterraneo. Il
Mediterraneo è un’area è un’area alla quale la tendenza alla mobilità e quella alla migrazione sono
connaturate. Alcuni studi hanno individuato il Mediterraneo come unità geostorica dominante, in
cui il rapporto tra terra e acqua è invertito: nel Mediterraneo la vera terra è il mare, che rende
possibile un mondo interconnesso tra le varie élite delle società palaziali; nessuna fondazione sorge
distante dalla costa e tutte le zone sono state raggiunte con spedizioni navali. Ne deriva che
interazione culturale e mescolanze etniche sono elementi caratterizzanti questo ambiente. L’
interazione ebbe luogo tramite il commercio, il trasferimento di manodopera, i matrimoni dinastici,
la circolazione di idee, gli spostamenti individuali, il saccheggio… La ξενία non era un legame
casuale, ma istituzionale, e durava per sempre. Non esiste alcun “miracolo greco”. Ci furono invece
secoli di elaborazione interna e una continua interazione culturale con le aree circostanti.
Organizzazioni statali e imperiali erano già formate nel Vicino Oriente (Egitto, Mesopotamia,
Palestina) nel III millennio a.C. e avevano dato luogo a un complesso sistema di relazioni, tra cui il
controllo delle rotte di comunicazione all’interno del Mediterraneo. Nel II millennio di questo
sistema entrano a far parte Creta prima, e il continente greco subito dopo. Creta e la Grecia, nel II
millennio, rappresentano le estreme propaggini occidentali del sistema economico e culturale
sviluppatosi nel Vicino Oriente. La lettera del faraone Akenaton ai sovrani del Mediterraneo
(archivio delle Lettere di Amarna, prima metà del XIV sec. a.C.), tra cui i sovrani micenei e quelli
della costa sirio - palestinese, testimonia gli stretti contatti dei greci con l’Egitto faraonico. Testi in
lingua ittita (la più antica lingua indoeuropea attestata) del XIV e XIII secolo, rinvenuti nella
capitale ittita Hattusa, e noti come Ahhiyawa texts, testimoniano dei rapporti tra l’impero ittita e lo
stato degli Ahhiyawa, di cui ragionevolmente - nonostante il dibattito sia ancora aperto - si accetta
l’identificazione con gli Αχαίοι, cioè i Micenei. In questi testi il re degli Ahhiyawa è appellato come
“Grande re”, lo stesso epiteto dei re d’Egitto, di Babilonia e di Assiria, i sovrani più potenti del vicino
Oriente (ne consegue che lo stato degli Ahhiyawa doveva essere una potenza affermata nel
Mediterraneo). La lettera di Tamagaiawa, re ittita, inviata al sovrano degli Ahhiyawa riferisce di una
disputa tra le due potenze per la città di Wilusa, la Troia dei Greci, richiamando così alla memoria le
vicende della guerra di Troia omerica.
All’interno del palazzo dovette svilupparsi una vita culturale caratterizzata anche da qualche forma
di poesia epica, di tipo celebrativo. I poemi omerici contengono elementi che non possono non
risalire alla società e alla cultura micenee. L’ assetto della società descritta nell’Iliade, pur nella sua
complessità e incoerenza, rispecchia, sotto vari aspetti, quello storico della società d’epoca micenea.
La struttura piramidale della società iliadica, con a capo un re, si accosta più alla realtà micenea che
non a quella dei secoli bui, nonostante le incoerenze che derivano dall’assimilazione all’interno dei
poemi di stuazioni storiche di epoca posteriore. L’ assetto geopolitico del Peloponneso descritto
nell’Iliade presenta evidenti coincidenze con quello miceneo. Non si può negare la larga
corrispondenza tra la geografia iliadica e il Peloponneso d’età micenea dall’altro. Dai regni micenei
di Pilo e di Micene provengono Nestore e Agamennone, e da Sparta proviene Menelao. Il
Peloponneso dei poemi omerici, nel suo complesso, pare corrispondere a quello d’età micenea: i
Dori ne sono completamente assenti. È ragionevole credere che l’assetto geografico e il ruolo
preminente dei singoli regni micenei siano stati recepiti all’interno di una tradizione poetica che
osservato e trasmesso il ricordo attraverso i secoli per confluire poi nei poemi omerici. L’ ipotesi
appare ancora più plausibile se si pensa che Pilo e Micene sono centri di importanza assolutamente
trascurabile in età postmicenea.
Molti oggetti erano in uso esclusivamente in epoca micenea e non più in epoca posteriore:
- “lo scudo come una torre” impugnato da Aiace, che copre la persona quasi per intero (libro VII);
- l’elmo di cuoio con zanne di cinghiale (Il. 10);
- la punta della lancia di Ettore (Il. 6 e 8), dotata di un anello per tenere unite le due estremità
della lamina metallica che forma la punta;
- il φάσγανον ἀργυρόηλον, la spada “a borchie d’argento”;
- la “coppa bellissima” di Nestore (Il. II), che somiglia alla coppa rinvenuta da Schielmann a
Micene;
- l’impiego pressocché esclusivo del bronzo come metallo per la realizzazione di armi e di
oggetti.
Per quel che riguarda la tecnica di combattimento, i poemi omerici offrono un quadro composito,
tutt’altro che omogeneo, in cui sono riconoscibili modalità di scontro e formazioni tattiche che
presuppongono la polis al fianco di elementi che risalgono almeno all’epoca micenea: la
monomachia e l’impiego del carro da combattimento.
Oltre a una cospicua e particolare quota di lessico micenea (φάσγανον, ἂναξ, Σμυντος), rilevante è
che nei poemi omerici sono presenti fatti di lingua del II millennio, documentati nel miceneo ma
scomparsi dal greco delle epoche successive (l’assenza di aumento, la tmesi [che rispecchia uno
stato più antico della lingua, in cui il preverbio non era ancora parte del verbo]). Poiché non è
pensabile che tali elementi linguistici siano stati imitati o artificialmente prodotti secoli dopo la
scomparsa, la loro presenza nell’epos omerico è spiegabile solo ammettendo lo sviluppo senza
soluzione di continuità di una tradizione poetica avviata in età micenea. Quanto si ricava dai dati
discussi è che nell’epos omerico sembrano essere confluiti quegli elementi della cultura micenea che
già in origine erano parte di una tradizione poetica, tradizione di cui l’Iliade e l’Odissea
rappresentano, in qualche modo, l’ultimo stadio di evoluzione.
I poemi omerici presentano poi numerosi elementi riconducibili alla cultura dei secoli bui. Finley ha
mostrato come in epoca micenea fosse in uso la pratica di affidare in lavorazione le terre in cambio
di un servizio, come pure esisteva una porzione di territorio di proprietà collettiva del popolo:
niente di tutto questo è rintracciabile nell’Iliade. Anche l’assegnazione di un temenos al sovrano,
come in epoca micenea, risulta sconosciuta all’Iliade e all’Odissea. Il mondo miceneo sembra
praticare esclusivamente l’inumazione. La forma di sepoltura conosciuta nei secoli X -IX a.C. è la
cremazione. L’ inumazione ritorna in uso solo tra l’850 e l’800 a.C. I poemi omerici conoscono solo
la cremazione. Lo scarto semantico di wanax e basileus va senz’altro ricondotto alle mutate
condizioni dell’organizzazione politica nei secoli bui: la scomparsa di un potere centrale comporta il
decadimento del termine che lo indica (wanax), mentre il sorgere di centri periferici autonomi
legati ad aristocrazie locali porta a una nuova semantizzazione del termine basileus, non più una
figura di secondaria importanza, ma un sovrano, ormai concepito come primo tra i pari. Il quadro
culturale dei poemi omerici, come insieme, non coincide con nessuna delle epoche storiche note.
Questa disomogeneità è sensatamente spiegabile solo come risultato di una stratificazione
progressiva della tradizione poetica, che ha desunto elementi da ogni fase storica attraverso cui è
transitata, affiancandoli - in maniera a volte contraddittoria - a quelli già presenti al suo interno. Il
carro da combattimento è frequentemente descritto negli scontri iliadici.
Indipendentemente dalle reali pratiche di combattimento, resta inoppugnabile che il modello di
eroe guerriero proposto dall’Iliade è di tipo individualistico: è il singolo combattente che risolve le
sorti degli scontri e può condizionare l’esito della guerra (si pensi ad Achille), e questo
individualismo eroico è retaggio arcaico, incompatibile con l’etica collettiva del cittadino - oplita.
Sul piano dei valori etici, è certamente da ascrivere a un’epoca più recente il senso della
responsabilità collettiva che talora emerge nei poemi omerici. Si tratta di un rapporto tra l’individuo
e la società di tipo politico, emblematicamente rappresentato da quello di Ettore con la sua
comunità (Il. 15): “Non sarà vergogna per lui restare ucciso /combattendo per la patria; ma sarà
salva la moglie ed i figli, / intatti i beni e la casa…ecc.”). Certamente la prospettiva di Ettore è
quella di chi difende la patrai e quindi, di necessità, un legame più stretto con la comunità da
proteggere. Il legame con la comunità che traspare da queste parole si intende meglio come
prodotto della nuova organizzazione politica: è un senso di responsabilità nei confronti della
collettività in aperto contrasto con l’individualismo che altrove contraddistingue l’eroe omerico,
proteso verso l’acquisizione di gloria e onori individuali. Anche la concezione della regalità
all’interno dei poemi omerici è presentata in maniera non uniforme. La regalità sembra rispecchiare
una concezione di tipo dinastico, nelle parole che Achille rivolge ad Enea nel libro XX: “Non per
questo Priamo ti darebbe il potere: ha figli…” Al contrario, nell’Odissea, la regalità pare essere la
condizione di un primus inter pares, il cui diritto a regnare non è garantito dalla discendenza, ma
dal consenso accordato per meriti. A Telemaco non è affatto garantito il diritto al trono in quanto
figlio di Teseo, ma deve fare i conti con i pretendenti. Lo stesso Odisseo non esercita un potere
assoluto, visto che, dopo la strage dei pretendenti, deve affrontare in armi i familiari degli uccisi
(integrare con commento Iliade I). La disomogeneità dei fatti culturali e storici mostra come il testo
dei poemi omerici a noi giunto sia il risultato di una stratificazione progressiva di materia e di
canto, elaborata e rielaborata continuamente in epoche e retroterra culturali diversi nel tempo e
nello spazio. Stratificazione progressiva, che però seleziona, in maniera più o meno coerente, i dati
da introdurre per l’aggiornamento del poema, specialmente in vista della sua funzione di
“enciclopedia tribale”. Nel libro XXIV dell’Iliade, ad esempio, avviene la restituzione del cadavere di
Ettore. In tutto il resto dell’Iliade, quando un guerriero ne uccide un altro, può decidere liberamente
di cosa fare del suo corpo: può oltraggiarlo o farne oggetto di riscatto. Il libro XXIV è un chiaro
esempio di aggiornamento storico: nel VII secolo a.C. viene introdotta una norma panellenica che
prevede, in ogni circostanza, la restituzione del cadavere ai familiari.