Dispensa gestione 2
Dispensa gestione 2
Le organizzazioni
• Scopo (Purpose). In primo luogo, un'organizzazione ha uno scopo ben definito, che viene
tipicamente espresso attraverso gli obiettivi che l'organizzazione cerca di raggiungere.
• Persone (People). In secondo luogo, ogni organizzazione è composta da persone. Ci vogliono
persone per eseguire il lavoro necessario all'organizzazione per raggiungere i suoi obiettivi.
• Struttura (Structure). In terzo luogo, tutte le organizzazioni sviluppano una struttura apposita
all'interno della quale i membri svolgono il loro lavoro. Tale struttura può essere aperta e
flessibile, senza mansioni lavorative specifiche o con il rigoroso rispetto di accordi di lavoro
espliciti.
La definizione di impresa
1
Il termine “organizzazione” può avere molteplici interpretazioni, a seconda di come lo si utilizza. Inizialmente è stato
utilizzato nel testo come sinonimo di “istituzione”. In questo caso lo intendiamo come l’insieme delle attività di
un’istituzione volte a far funzionare la struttura (appunto, organizzativa) per il raggiungimento di un obiettivo (es.
l’organizzazione di un’impresa/di uno studio di consulenza/ecc.).
Qualunque sia il suo obiettivo, ogni azienda deve svolgere quattro funzioni fondamentali: a) produrre
un bene o un servizio; b) distribuire e vendere il bene/servizio; c) finanziare l’attività; d) supportare le
attività dell’azienda.
L’impresa può svolgere la sua attività adottando diverse forme legali (cfr. Figura 2.3):
1. società individuali
2. società di persone
3. società di capitali
4. società benefit
1. Nelle società individuali l’unico titolare dell’attività è il singolo imprenditore che si assume il rischio
e le responsabilità che l'esercizio dell'attività economica comporta. Risponde direttamente alle
obbligazioni verso i terzi con il suo patrimonio: poiché non c'è un'autonomia patrimoniale dell'impresa,
se questa viene dichiarata fallita, anche l'imprenditore fallisce.
Sono concettualmente simili all'impresa individuale, quella familiare (formata al 51% dal
capofamiglia e al 49% dai suoi familiari, con una parentela non superiore al secondo grado) e quella
coniugale (formata solo da marito e moglie).
2. Due sono i grandi sottoinsiemi in cui si raggruppano le società lucrative: le società di persone e le
società di capitali.
A distinguere le prime dalle seconde sono due elementi: il grado di autonomia patrimoniale e il
riconoscimento o meno della personalità giuridica da parte del legislatore (contratto di società è il
conferimento, da parte di due o più soggetti, di beni e servizi per l'esercizio in comune di un'attività
economica organizzata, al fine di dividerne gli utili).
I creditori particolari dei soci di società semplici possono ottenere dalla società la liquidazione della
quota del socio debitore. Questa possibilità è riconosciuta pure ai creditori dei soci di società in nome
collettivo, ove la durata di questa sia stata prorogata, con diverse modalità nel caso la proroga sia stata
espressa o tacita.
Inoltre, l'ordinamento riconosce la personalità giuridica alle sole società di capitali (art 2331 c.c.). Le
società di persone sono comunque caratterizzate da soggettività giuridica, ossia costituiscono un
soggetto distinto dai soci, titolare di propri rapporti giuridici e di un proprio patrimonio.
• la società semplice;
Nelle società per azioni (S.p.A.) il capitale sociale è rappresentato da azioni (il capitale sociale minimo
è di 100.000 euro). Le società per azioni possono emettere varie categorie di azioni (ordinarie,
privilegiate, di godimento, senza voto, con voto limitato, di risparmio).
Altri tipi di società sono le società cooperative, caratterizzate da scopo mutualistico, e le società
consortili, definite come l'organizzazione costituita tra imprenditori dello stesso ramo o di attività
connesse per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.
4. Le società benefit, o "Benefit Corporations" (B-Corps), sono un tipo di entità legale in Italia che si
differenziano dalle tradizionali società per azioni (S.p.A.) o società a responsabilità limitata (S.r.l.)
perché hanno un'impronta sociale e ambientale più marcata. Queste società sono state introdotte in
Italia con la legge n. 208 del 2015, che ha istituito la figura giuridica della "Società Benefit" nell'ambito
del diritto societario italiano. Le società benefit sono un modo per le imprese di bilanciare i loro
obiettivi di lucro con un impegno per il bene sociale e ambientale. Un modo, cioè, per le imprese di
dimostrare il loro impegno per la responsabilità sociale e ambientale e di bilanciare gli interessi
finanziari con quelli sociali e ambientali. Questo modello è parte di una tendenza globale verso una
maggiore sostenibilità e responsabilità aziendale.
Con il termine struttura si identificano comunemente il modo in cui diverse parti di un organismo sono
collegate tra loro.
Organizzare significa ordinare e strutturare il lavoro per raggiungere gli obiettivi organizzativi. La
struttura organizzativa è la disposizione formale dei lavori all'interno di un'organizzazione. Questa
struttura, che può essere visualizzata visivamente in un organigramma, serve a molti scopi (vedi
Figura 2.4).
La struttura aziendale deve essere progettata tenendo presenti i seguenti principi organizzativi:
• il principio degli obiettivi congruenti
• il principio del coordinamento
• il principio del bilanciamento tra autorità o responsabilità
• l’unità di comando
• l’ampiezza del controllo
• la delega
Le funzioni aziendali
Le funzioni aziendali sono l’insieme delle operazioni di gestione (come produrre, commercializzare,
acquistare, ecc.) con cui il sistema azienda realizza il proprio oggetto e realizza gli obiettivi della
propria gestione. Si tratta, in altri termini, di gruppi di operazioni omogenee innanzitutto dal punto di
vista tecnico, cioè come conoscenze tecniche richieste per il loro svolgimento.
Le funzioni aziendali si possono distinguere in operative e di supporto:
Funzione Descrizione
Pianificazione & Formula gli obiettivi di lungo termine della gestione aziendale, in maniera
controllo esplicita e precisa. Definisce le scelte strategiche adatte al
raggiungimento di tali obiettivi e individua i piani di azione necessari per
tradurre in pratica le intenzioni strategiche. Attraverso la formulazione di
piani pluriennali e il loro controllo, determina ex-ante i riflessi
economico-finanziari delle scelte compiute e analizza le ragioni di
eventuali scostamenti.
Risorse umane Attrae, seleziona e assume le risorse umane più valide. Si occupa del loro
orientamento e sviluppa un sistema di incentivi e motivazioni idonei a
mantenere i dipendenti nel tempo
Logistica Si occupa della movimentazione dei materiali, cioè del corretto flusso
degli stessi dai fornitori ai magazzini aziendali, ai reparti produttivi, al
cliente finale.
Marketing Identifica i bisogni del consumatore, definisce le caratteristiche del
prodotto da produrre e le strategie ed i sistemi più idonei per la sua
promozione e per la distribuzione e la vendita. In altri termini, il marketing
studia le esigenze presenti e future dei clienti e si attiva perché all’interno
dell’azienda tali bisogni siano recepiti e appagati con la realizzazione di
prodotti/servizi idonei.
Vendite Distribuisce e vende il prodotto secondo le direttive di massima del
marketing, assicura l’assistenza al cliente, riferisce le lamentele e i nuovi
bisogni.
Ricerca & sviluppo Sulla base delle richieste del marketing o in base a piani di ricerca
indipendenti, sviluppa nuove applicazioni o prodotti che
successivamente avranno un’applicazione commerciale per assicurare il
mantenimento di un vantaggio competitivo all’azienda.
In definitiva, l’azienda per raggiungere gli obiettivi della propria gestione deve: a) ricercare e progettare
nuovi prodotti e processi; b) realizzarli; c) vendere i prodotti sul mercato.
Il management è considerato una delle innovazioni più cruciali del ventesimo secolo, in grado di
influenzare direttamente l'istruzione e le carriere dei giovani che diventeranno “knowledge workers” e
dirigenti. Eppure, la parola "management" ha più di un secolo di storia e il concetto ad essa legato ha
visto una lunga evoluzione nel corso del tempo.
L'istituzione stessa, poi, come detto prima, è un organo della società ed esiste solo per contribuire
a un risultato necessario per la società, l'economia e l'individuo. Questi “organi”, tuttavia, non sono
mai definiti da ciò che fanno, tanto meno da come lo fanno. Sono definiti dal loro contributo, ed è il
management che consente all'istituzione di contribuire.
Tuttavia, la necessità del management non sorge solo perché il lavoro è diventato troppo per essere
svolto da una sola persona, ma soprattutto perché la complessità è aumentata.
Infatti, sebbene molte imprese grandi e complesse nascano a partire da una piccola attività gestita da
un singolo individuo, dopo i primi passi la crescita inizia ad implicare più di un semplice aumento delle
dimensioni. Ad un certo punto (e molto prima che l'organizzazione diventi anche solo "di dimensioni
adeguate"), infatti, le dimensioni si trasformano in complessità.
Il passaggio da un'impresa che l'imprenditore proprietario può gestire con "aiutanti" a un'impresa
che richiede management è un cambiamento radicale. Richiede l'applicazione di concetti di base,
principi di base e una visione unica alla gestione dell’azienda.
Si può paragonare i due tipi di aziende (quella piccola e quella più grande) a due diversi tipi di organismi:
l'insetto, che è tenuto insieme da una pelle dura e resistente, e l'animale vertebrato, che ha uno
scheletro. Gli animali terrestri sostenuti da una pelle dura non possono crescere oltre pochi centimetri
di dimensione. Per essere più grandi, gli animali devono avere uno scheletro. Tuttavia, lo scheletro non
si è evoluto dalla pelle dura dell'insetto; è un organo diverso con antecedenti diversi. Allo stesso modo,
il management diventa necessario quando un'organizzazione raggiunge una certa dimensione e
complessità.
Ma il management, mentre sostituisce la struttura "a pelle dura" del proprietario-imprenditore, non ne
è il successore. È, piuttosto, la sua sostituzione.
Quando un'azienda raggiunge lo stadio in cui deve passare dalla "pelle dura" allo "scheletro"? C’è
chi afferma che la linea si trovi da qualche parte tra 300 e 1.000 dipendenti in termini di dimensioni,
ma in realtà non è propriamente così. La vera bussola in questo senso è data dal livello di complessità,
ed è l’aumento di complessità a determinare la necessità del management.
Quando una varietà di compiti deve essere eseguita in cooperazione, sincronizzazione e
comunicazione, un'organizzazione ha bisogno di manager e di una struttura di management. Un
esempio potrebbe essere un piccolo laboratorio di ricerca in cui venti o venticinque scienziati
provenienti da diverse discipline lavorano insieme. Senza management, le cose sfuggono al controllo.
I piani non si traducono in azione o, peggio, diverse parti dei piani iniziano a funzionare a diverse
velocità, in momenti diversi e con obiettivi e scopi diversi. Ottenere il favore del "capo" diventa più
importante delle prestazioni. A questo punto, il prodotto può essere eccellente, le persone capaci e
dedite. Il capo può essere - e spesso lo è - una persona di grande abilità e potere personale. Ma
Cos’è il management?
Il management, traducibile con la parola “gestione”, è un formale processo che si svolge all’interno
di organizzazioni per gestire e indirizzare risorse al fine di raggiungere obiettivi prefissati.
Chi guida il processo di management deve così essere chiaro su principi e obiettivi, conoscere le
risorse e il loro valore e capire le performance attese.
Per Daft (2006) il management può essere definito come il processo di pianificazione, organizzazione,
gestione e controllo delle risorse per raggiungere obiettivi organizzativi specifici. (cfr. Figura 1).
Ogni manager, quindi deve occuparsi di più aree funzionali ed eseguire diverse attività. Tali aree
includono la pianificazione, l’organizzazione, la gestione e il controllo. L’elenco non è tuttavia esaustivo
perché l’azienda si evolve continuamente nel tempo.
La definizione tradizionale di manager come "responsabile del lavoro degli altri" ha dei limiti. Il
lavoro di un manager coinvolge pianificazione, organizzazione, integrazione, misurazione e sviluppo
delle persone. Eppure, anche i professionisti possono eseguire tali compiti e influenzare lo sviluppo
delle persone.
La definizione tradizionale del manager, inoltre, si concentra sull'"integrazione verso il basso", ossia
sull'integrazione del lavoro dei subordinati. Ma anche per i manager che hanno dei subordinati, le
relazioni "laterali" con persone su cui non hanno autorità di supervisione sono di solito almeno
altrettanto importanti nel lavoro e di solito più importanti in termini di decisioni e informazioni. Il
responsabile delle vendite del distretto deve lavorare a stretto contatto con l'operatore di
pianificazione delle operazioni, l'analista delle vendite e il controller dei costi - e viceversa, questi
devono lavorare a stretto contatto con il responsabile delle vendite del distretto.
La maggior parte delle decisioni quotidiane che queste persone devono prendere sono decisioni
che influenzano i loro "pari" piuttosto che i loro subordinati. L'integrazione, in altre parole, è
importante perché le persone lavorano in organizzazioni e con altre persone, piuttosto che avere
subordinati. I supervisori di prima linea gestiscono le persone ma non sono sempre manager
tradizionali. Devono portare risultati secondo gli obiettivi stabiliti da altri.
La distinzione, quindi, dovrebbe basarsi sulla responsabilità per il contributo, non solo sul potere. Il
termine "gruppo di management" o “management team” può identificare tutte le persone che hanno
responsabilità di tipo esecutivo per il contributo. Ci sono diverse posizioni all'interno del
management team, alcune con responsabilità tradizionali per il lavoro degli altri e altre senza.
L'essenza del lavoro del supervisore di prima linea in fabbrica o in ufficio - il supervisore sulla linea
di assemblaggio o il supervisore della sala di elaborazione delle politiche in un'azienda di
assicurazioni - è infatti la gestione delle persone. Ma poi, il supervisore di prima linea è solo
marginalmente un "manager", motivo per cui la supervisione di prima linea presenta così tanti
"problemi". I supervisori di prima linea, che siano in fabbrica o in ufficio, non sono generalmente
tenuti a pianificare e organizzare, o a prendersi molta responsabilità per il loro contributo e risultati.
Quindi non sono manager. Devono consegnare secondo gli obiettivi loro stabiliti da altri. Nella tipica
fabbrica di produzione di massa, questo è tutto ciò che il supervisore può o dovrebbe fare.
• la pianificazione (planning): è la funzione riferita alla definizione degli obiettivi futuri dell’azienda,
in termini di performance, e alla decisione su quali risorse utilizzare e sulle loro modalità di
utilizzo;
• l’organizzazione (organizing): riguarda l’assegnazione dei compiti, il raggruppamento dei compiti
per aree/dipartimenti, e l’allocazione delle risorse alle diverse aree;
• la gestione (leading): riguarda l’utilizzo della persuasione/influenza per motivare i dipendenti nel
raggiungere gli obiettivi aziendali;
• il controllo (controlling): riguarda la verifica delle attività aziendali in modo da tenere l’azienda
sempre allineata agli obiettivi prefissati e apportare le correzioni quando e dove necessario.
A ogni attività sono associati specifici compiti così come indicato nella Tavola 3.1 :
Attività Obiettivi
Pianificazione • Definire obiettivi aziendali e determinare i modi per raggiungerli
• Definire set di azioni strategiche e operative
• I piani organizzativi devono cambiare ed evolversi nel tempo (visione
dinamica)
• Gli obiettivi devono essere di breve e di lungo periodo
Organizzazione • Mettere i piani in atto; determinare quali lavori sono necessari e chi è
responsabile dell’attività
• Definire l’organigramma aziendale
• Descrivere le attività necessarie e definire le qualifiche professionali
• Definire le attività di staff
Gestione • “Azione” è parte del processo di management
• Saper delegare: assegnare responsabilità e obiettivi ai dipendenti
• Cogliere e gestire i cambiamenti in corso
• Gestire conflitti, problemi, difficoltà di comunicazione; stimolare la
creatività e motivare i collaboratori
Controllo • Misurare e assicurare l’esecuzione degli obiettivi aziendali
• Verificare il rispetto dei compiti e obiettivi assegnati
• Implementare sistemi di reporting, definire misure di performance,
fare comparazioni rispetto agli standard, sviluppare sistemi premianti
C'è un'intuizione fondamentale alla base di tutta la scienza del management. È che l'impresa
commerciale è un sistema di prim'ordine: un sistema le cui parti sono esseri umani che
contribuiscono volontariamente, con la loro conoscenza, abilità e dedizione, a una joint venture.
Una cosa caratterizza tutti i “sistemi” genuini e di successo, siano essi meccanici (come il controllo
di un missile), biologici (come un albero), o sociali (come l'impresa commerciale): è
l'interdipendenza.
L'intero sistema non migliora necessariamente se una particolare funzione o parte viene migliorata
o resa più efficiente. In effetti, il sistema potrebbe essere danneggiato o addirittura distrutto.
In alcuni casi il modo migliore per rafforzare il sistema può essere quello di indebolire una parte, per
renderla meno precisa o meno efficiente. Perché ciò che conta in qualsiasi sistema è la prestazione
del tutto.
Questo è il risultato della crescita e dell'equilibrio dinamico, del miglioramento continuo e
dell'integrazione piuttosto che della mera efficienza tecnica.
Come abbiamo visto in precedenza, non tutte le organizzazioni sono strutturate per portare a
termine il lavoro utilizzando una forma piramidale tradizionale. Alcune organizzazioni, come ad
esempio Zappos e GitHub, sono configurate in modo più libero, con il lavoro svolto da team di
dipendenti in continua evoluzione che passano da un progetto all'altro in base alle esigenze di lavoro.
Anche se non è così facile dire chi sono i manager in queste organizzazioni, sappiamo che qualcuno
deve svolgere quel ruolo, cioè qualcuno deve coordinare e supervisionare il lavoro degli altri, anche
Le competenze manageriali
Per poter svolgere le attività fondamentali di cui sopra, di quali tipi di competenze hanno bisogno i
manager?
Robert L. Katz ha proposto che i manager necessitino di tre competenze critiche nella gestione
d’impresa: tecniche, interpersonali e concettuali (Cfr. Figura 3.4).
Le competenze tecniche sono le conoscenze e le tecniche specifiche del lavoro necessarie per
svolgere in modo abile i compiti assegnati a lavoro.
Queste competenze tendono ad essere più importanti per i frontline manager, perché in genere sono
responsabili dei dipendenti che utilizzano strumenti e tecniche per l’attività di produzione o erogazione
di servizi. Spesso, i dipendenti con eccellenti capacità tecniche vengono promossi a frontline
manager. Ad esempio, Dean White, supervisore della produzione presso Springfield ReManufacturing,
ha iniziato come addetto alla pulizia dei macchinari. Ora, Dean coordina il lavoro di venticinque
persone in sei dipartimenti. Ha notato che all'inizio era difficile convincere le persone ad ascoltare,
specialmente i suoi ex coetanei: "Ho imparato che dovevo guadagnare rispetto prima di poter guidare".
Lui attribuisce ai suoi mentori – cioè, altri supervisor di cui ha seguito l'esempio – il merito di averlo
aiutato a diventare il tipo di manager che è oggi.
Dean è un manager che ha competenze tecniche, ma riconosce anche l'importanza delle
competenze interpersonali, che implicano la capacità di lavorare bene con altre persone sia
individualmente che in gruppo.
Poiché tutti i manager hanno a che fare con le persone, queste competenze sono ugualmente
importanti per tutti i livelli di gestione. I manager con buone capacità interpersonali ottengono il meglio
dalle loro persone. Sanno come comunicare, motivare, guidare e ispirare entusiasmo e fiducia.
Infine, le competenze concettuali sono le abilità che i manager usano per pensare e
concettualizzare situazioni astratte e complesse.
Utilizzando queste competenze, i manager vedono l'organizzazione nel suo complesso,
comprendono le relazioni tra le varie subunità e visualizzano come l'organizzazione si inserisce
nell’ambiente più ampio in cui si trova. I manager possono quindi indirizzare efficacemente il lavoro
dei dipendenti. Ad esempio, Ian McAllister, Senior Director of Product per Uber, indica che un direttore
Un altro modo di vedere le competenze manageriali è offerto da Gilgeous (1997), che indica quattro
tipologie-chiave di competenze manageriali:
• Capacità di general management (comunicazione, prendere decisioni, gestione problemi)
• Caratteristiche personali (leadership, entusiasmo, flessibilità, correttezza)
• Competenze tecniche/funzionali (marketing o finanza)
• Competenze di settore (e.g. gestione di specifici impianti)
Per Torkilsen (1992) un bravo manager deve possedere tre qualità fondamentali: leadership, effettiva
capacità di prendere decisioni e abilità nella comunicazione. Tali competenze sono di fondamentale
importanza per elevare l’innovazione, gestire il cambiamento, rendere le organizzazioni più efficaci e
più efficienti.
La Figura 3.5 illustra in un diverso schema le competenze chiave del manager moderno.
Il Value Based Management (VBM) è un nuovo approccio di management che si riferisce a tradizioni
accademiche e pratiche già introdotte da decenni, ma che solo negli ultimi venti anni si è sviluppato
in modo da distinguersi più nettamente dai contributi progenitori.
Nel corso degli ultimi trent’anni molte imprese hanno adottato i principi del VBM applicando alcune
delle misure di performance a esso associate. Tra queste, alcune si sono distinte per i risultati ottenuti
(un noto esempio è rappresentato dalla Coca Cola soprattutto nel periodo della gestione di Goizueta)
stimolando l’interesse di altre società operatori curiosi di conoscere e apprendere il “segreto del loro
successo”. L’attenzione verso il VBM è stata alimentata da numerose società di consulenza, molte
delle quali collaborano con le imprese pionieri del VBM, che hanno colto il potenziale legato
all’applicazione di questo nuovo paradigma del management. La comprensione delle difficoltà di tale
approccio, l’adozione di corretti processi di adozione e di implementazione dei suoi principi hanno
guidato l’azione delle società di consulenza nel convertire molte imprese verso l’applicazione del
VBM.
L’utilizzo del concetto del “shareholder value” si è così rapidamente diffuso interessando imprese,
società di consulenza, mass media e comunità accademica. Le imprese hanno posto al vertice dei
Il VBM è un approccio alla strategia aziendale, alla sua organizzazione e al suo funzionamento che
pone quale obiettivo primario la massimizzazione del valore degli azionisti. Esso si fonda su un
fondamentale concetto della teoria finanziaria secondo il quale ogni attività deve offrire un
rendimento uguale o superiore a quello che un investitore avrebbe ottenuto se avesse destinato le
sue risorse a un investimento alternativo con uguali caratteristiche di rischio (per esempio, se avesse
deciso di acquistare le azioni di un’impresa operante nello stesso settore economico e con il
medesimo profilo di rischio). Questo principio si applica sia nelle decisioni microeconomiche (e.g.
valutando se il valore attuale netto di un investimento, quale la sostituzione di un macchinario, sia
positivo) che macroeconomiche, ovvero tutte quelle decisioni che influenzano la vita futura
dell’impresa. Per esempio, la decisione strategica di acquisire una società target o di entrare in un
nuovo mercato viene esaminata sia in termini qualitativi, ma pure in termini quantitativi applicando le
misure di performance tipiche del VBM.
• L’obiettivo dell’impresa consiste nel massimizzare il valore degli azionisti nel lungo periodo. Tale
obiettivo coinvolge l’intera organizzazione. Pertanto, la strategia, i processi, le analisi, gli indicatori
di performance e la cultura aziendale devono essere orientati alla creazione di valore per gli
azionisti.
• L’ammontare del capitale investito dagli azionisti deve essere quantificato. L’impresa crea valore
se e solo il rendimento dei fondi investiti è superiore al costo di opportunità degli stessi.
• Devono esistere misure interne ed esterne della creazione di valore. Le prime consentono di fare
sì che il management sia informato e persegua gli obiettivi legati alla massimizzazione di valore
per gli azionisti. I secondo favoriscono la trasparenza sulla gestione aziendale evidenziando i
risultati raggiunti nel passato e le aree di possibile evoluzione in futuro della creazione di valore.
Il VBM trae le sue origini da una tradizione che considera inamovibile la supremazia degli azionisti.
Diversi argomenti supportano tale impostazione:
a. Il benessere della società. Come ricordato da Adam Smith nel suo Wealth of the Nations (1779) la
ricerca del benessere individuale si tramuta nel benessere collettivo grazie all’intervento di una mano
invisibile. Hayek (1960) considera che per essere di beneficio alla società, l’impresa deve perseguire
un solo obiettivo. La ricerca del più alto rendimento di capitale nel lungo periodo attenua il rischio che
il management possa adottare comportamenti opportunistici, favorisce la corretta allocazione delle
risorse e crea un chiaro, specifico e controllabile obiettivo della gestione. Lo stesso Milton Friedman
(1958) puntualizza il rischio della confusione dei ruolo dei manager nel momento in cui puntano alla
responsabilità sociale piuttosto che alla massimizzazione del profitto.
b. La massimizzazione del benessere degli azionisti eleva il benessere di tutti gli altri stakeholders.
c. La competitività nazionale. Se le imprese non focalizzano l’attenzione sulla creazione di valore per
gli azionisti, ovvero coloro che apportano il capitale di rischio, vi è il severo rischio che i capitali
possano uscire dalla nazione conducendola al declino economico.
d. Forza dell’impresa. La gestione dell’impresa non incentrata introno a un chiaro obiettivo, quello
della creazione di valore, rischia di perdere i propri punti di forza rischiando, nel caso in cui tale perdita
sia estrema, di non poter più competere sul mercato.
e. Proprietà dell’impresa. L’argomento più semplice è che gli azionisti sono proprietari dell’impresa e,
quindi, è naturale che perseguano i propri obiettivi. In un mondo in cui è sacro il diritto della proprietà
Se gli argomenti apportati non sono sufficienti a convincere il management a operare nell’interesse
degli azionisti, i sostenitori del VBM suggeriscono di ricordare il rimpiazzo del management. Se un
gruppo dirigente non è in grado di creare valore per gli azionisti, presto o tardi verrà sostituito (basti
ricordare alla minaccia dei takeovers ben ricordata da Rappaport - 1986). In modo ancora più incisivo,
Treynor (1981) sottolinea che “coloro che criticano l'impegno teso a massimizzare il valore azionario
dimenticano che gli azionisti non solo sono i beneficiari del successo finanziario della società, ma
rappresentano anche la fonte del potere finanziario dei manager. Qualunque management, non
importa quanto potente e indipendente, se trascura l'obiettivo della massimizzazione del valore
azionario, lo fa a suo rischio e pericolo".
Infine, la “contractual theory” offre un’ulteriore spiegazione del perché della supremazia degli
azionisti. L’assioma fondamentale è che tutti coloro che hanno un interesse in organizzazioni che
operano in un ambiente competitivo cercano di limitare il rischio e, quindi, si accontentano di
rendimenti predefiniti (finanziatori che si accontentano di un dato tasso, fornitori che “spuntano” un
determinato prezzo a prescindere dal mark-up dell’acquirente e così via). L’unica categoria che non
ha nessuna garanzia è quella degli azionisti. Nel caso in cui l’impresa dove hanno investito dovesse
entrare in crisi, essi rischiano di perdere l’intero investimento. Pertanto, secondo la teoria in oggetto
è logico che agli azionisti spetti tutto il surplus dell’investimento dopo che sono stati soddisfatti tutti
coloro con un rischio e un pay-off limitato.
Il VBM è una disciplina giovane e come tale presenta ancora alcuni limiti. Per esempio:
• Difficoltà di trovare un sistema di misurazione delle performance a breve termine che sia
compatibile con la creazione di valore nel lungo termine. Tra i motivi di tale difficoltà vi è l’ampia
varietà degli indicatori di performance. Tale ampiezza è effettivamente necessaria o è correlata
alla numerosità delle società di consulenza che hanno introdotto sul mercato proprie misure di
performance? In ogni caso, è possibile conciliarle?
• Difficoltà di produrre tecniche meno facilmente manipolabili e meno soggette a errori. E.g., i
sistemi di retribuzione a premi non sempre allineano gli interessi del management con quelli degli
Su quest’ultimo punto, molti osservano che l’impresa deve ottenere performance a un livello
adeguato in modo da assicurare alla vita aziendale la partecipazione dei diversi soggetti portatori di
interessi (stakeholders) e non solo agli azionisti.
In tale contesto, due temi interessano il rapporto tra l’impresa e i suoi stakeholder:
2. Come incrementare i rendimenti in modo che aumenti la quota da dividere tra i diversi
stakeholders?
Dopo avere introdotto nella precedente Dispensa il concetto di Value Based Management (VBM),
questa dispensa focalizza l’attenzione sulle determinanti alla base della creazione di valore.
La teoria di creazione del valore appartiene al filone microeconomico della letteratura economica
per il quale l'obiettivo primario dell'impresa è la massimizzazione della ricchezza attraverso la corretta
allocazione delle risorse disponibili.
Per dimostrare che la massimizzazione della ricchezza rappresenta l'obiettivo primario dell'impresa,
la corrente di pensiero microeconomica pone due presupposti di fondo: la polverizzazione del capitale
azionario e la certezza delle previsioni riguardanti la fattibilità degli investimenti.
1 A tal proposito, "coloro che criticano l'impegno teso a massimizzare il valore azionario dimenticano che
gli azionisti non solo sono i beneficiari del successo finanziario della società, ma rappresentano anche la
fonte del potere finanziario dei manager. Qualunque management, non importa quanto potente e
indipendente, se trascura l'obiettivo della massimizzazione del valore azionario, lo fa a suo rischio e
Rifacendosi alla teoria del ciclo di vita, Jovenitti (1988) sostiene, per esempio, che i principi del filone
microeconomico sono applicabili solamente alle imprese che si trovano nella fase finanziaria (vedi
box), quando i fabbisogni derivanti dall'espansione dell'attività non possono più essere sostenuti dalle
normali fonti di finanziamento: in tale situazione diviene indispensabile il ricorso al mercato dei
capitali e quindi si affronta il confronto con i rendimenti attesi dal mercato. L'accesso alla fase
finanziaria determina così una trasformazione nella misurazione della performance aziendale: ai
parametri di natura produttiva e commerciale (volume delle vendite, quota di mercato...) si
sostituiscono gli indicatori di natura finanziaria (reddito distribuibile, rapporto prezzo azione/utile per
azione...), i cui rendimenti si confrontano ora con le aspettative degli investitori. Il crescente ruolo
assunto dai nuovi indicatori produce nell'impresa importanti cambiamenti, gestionali e strategici
concernenti la politica degli investimenti e dei finanziamenti .
Fase tecnica: si caratterizza per l'esercizio di un'attività gestita dai soggetti fondatori che interessa
la produzione di uno o pochi beni o servizi. Importanti sono le conoscenze tecniche e commerciali,
mentre assumono un ruolo di secondo piano la gestione amministrativa e finanziaria. Non vi è
separazione tra proprietà e controllo. Nel corso di questa fase, il successo aziendale in termini
commerciali e di rendimento, reso possibile dall'affermazione sul mercato del prodotto, può
progressivamente ridursi fino a determinare uno stato di crisi, al quale l'impresa può reagire
apportando modifiche al prodotto oppure decidendo di diversificare la produzione e
l'organizzazione commerciale: questa decisione determina il passaggio alla fase successiva.
Fase funzionale: la diversificazione produttiva caratterizza questa seconda fase facilitando il ritorno
al successo e la crescita delle dimensioni aziendali. Parallelamente alla profonda riorganizzazione
della struttura produttiva e commerciale, assume un ruolo autonomo la funzione amministrativa e
finanziaria, mentre si afferma una graduale separazione fra proprietà e controllo.
pericolo". Treynor J.L. (1981), The Financial Objective in the Widely Held Corporation, Financial Analysis
Journal, March, pag. 71.
Fase politica: non sempre si manifesta nel corso della vita aziendale; interessa le società che
attraverso processi di globalizzazione hanno assunto dimensioni e importanza internazionali.
Pertanto, la conclusione alla quale la critica giunge sottolinea due aspetti principali: a) la logica
finanziaria pura è determinante nella scelta degli obiettivi aziendali solo se applicata alla grande
impresa dal momento che, solo per questa, è necessario il ricorso al mercato dei capitali visto il
bisogno di raccogliere il pubblico risparmio per sostenere il piano di investimenti; b) la teoria della
massimizzazione della ricchezza degli azionisti evidenzia in questo contesto uno dei suoi maggiori
limiti, dato che, così formulata, può riferirsi non all'intero ciclo di vita aziendale, bensì solo a un periodo
circoscritto.
Dall'evoluzione del pensiero microeconomico trae origine la teoria del valore, che considera fine
ultimo dell'impresa la creazione del valore economico.2 Con tale espressione si vuol indicare la
capacità dell'impresa di generare, per un periodo di tempo abbastanza lungo, un profitto superiore al
costo del capitale dell'impresa. Considerando il ruolo e la funzione svolta dalle imprese nel sistema
economico, l'impresa è in grado di creare valore economico quando il rendimento ottenuto da un
investimento è superiore al costo del capitale necessario per la realizzazione dell'investimento
stesso; la misura del valore economico creato dall'impresa è così data dalla differenza fra il profitto
economico ottenuto e il costo delle risorse impiegate.
Il profitto economico è un concetto sviluppato dagli economisti già nel XIX secolo per creare un
collegamento tra il rendimento dell'impresa e la creazione di valore. Già Alfred Marshall nel suo
Principles of Economics indicava che il profitto generato da un'impresa non è la semplice differenza
delle variabili contabili, ma deve considerare il costo opportunità del capitale, ovvero il rendimento
che le risorse impiegate in azienda potrebbero generare se fossero destinate a investimenti alternativi.
"When a man is engaged in business, his profits for the year are the excess of his
receipts from his business during the year over his outlay for his business. The
difference between the value of the stock of plant, material, etc. at the end and at
the beginning of the year is taken as part of his receipts or as part of his outlay,
according as there has been an increase or decrease of value. What remains of his
profits after deducting interest on his capital at the current rate ... is generally
called his earnings of undertaking or management."
2 Diversi sono i contributi teorici a sostegno della teoria del valore tra cui si segnala il lavoro di Rappaport
A. (1986), Creating Shareholder Value, The Free Press, New York.
Se i driver della creazione di valore derivano dai concetti fondamentali dell'economia (economie di
scala, economie di scopo, vantaggi di costo, differenziazione di prodotto, ampiezza canali distributivi,
politiche di governo), la creazione di valore viene realizzata attraverso: a) la scelta dei migliori
investimenti: il valore attuale netto dei flussi generati dai progetti migliori incrementa il valore
complessivo dell'impresa; b) l'utilizzo della corretta struttura finanziaria, che tende a contenere il
costo del capitale; c) l'adozione di un ottimale politica di reinvestimento che implica che l'impresa
reinvesta gli utili non distribuiti solo nei progetti che generano rendimenti maggiori del costo del
capitale.
Nella ricerca dei metodi di valutazione più adeguati per la misurazione della creazione del valore, nel
corso degli ultimi anni, alcune nuove metodologie di valutazione basate sul valore si sono diffuse nel
3 Cfr. Solomons, D. (1965), Divisional Performance: Measurement and Control, Homewood, IL: Irwin e
Biddle, G.C, Bowen, R.M., and Wallace, J.S. (1997), Does EVA beat earnings? Evidence on associations
with stock returns and firm values, Journal of Accounting and Economics 24(3), pagg. 301–336 citati in
Bell, L.W. (1998), Economic profit: An old concept gains new significance, Journal of Business Strategy
19(5), pagg. 13–15. Il concetto di reddito residuale (detrazione dal capitale proprio degli interessi figurativi
sul capitale) è espresso da R.N. Anthony. Si veda al riguardo, Guatri L. (1998), Trattato sulla valutazione
delle aziende, Egea, pagg.450-452.
4 Le forme di efficienza del mercato finanziario costituiscono un importante postulato della teoria dell'
Efficient Market Hypothesis (EMS) i cui postulati di base sono: a) la mancanza di barriere all'entrata in
modo che gli operatori non siano in grado di influenzare la formazione dei prezzi; b) la libertà di accesso al
mercato che deve essere priva di costi e l'inesistenza di ostacoli al libero scambio; c) la disponibilità senza
costo delle informazioni significative a tutti gli operatori; d) l'inesistenza di distorsioni causate dal sistema
fiscale. Cfr. Brealey R.A., Myers S.C. (1990), Principi di Finanza Aziendale, Mc Graw Hill, pag 22.
5 Cfr. Worthington A.C., West T. (2001), A Review and Synthesis of the Economic Value-Added Literature,
Working Paper.
shareholder value creation: metodo secondo cui la creazione di valore è data dal prodotto tra il valore
di mercato delle azioni e la differenza tra il rendimento degli azionisti e il costo del capitale proprio;7
market-value-added (MVA): metodologia sviluppata dalla società Stern, Stewart secondo cui il valore
di mercato aggiunto è la differenza tra il valore di mercato (capitalizzazione di borsa e, quindi, valore
disponibile per gli azionisti) e il capitale investito dagli azionisti così come appare nei documenti
contabili;
CFROI (cash flow return on investment): metodologia sviluppata dalla società Holt Value Associates'
e dal Boston Consulting's che misura il rendimento del cash flow generato sul capitale investito
attraverso la formula:
CFROI = (EBIT modificato (1-t) + Ammortamento & altre variazioni non monetarie) / Capitale
Investito
economic-value-added (EVA): metodologia ideata e registrata dalla società Stern Stewart che,
rifacendosi al concetto di valore residuale (residual income) misura il valore creato dopo che tutti i
finanziatori della società (azionisti e creditori vari) sono stati adeguatamente remunerati.
Tutti i modelli basati sul valore si ispirano alla logica dei flussi finanziari e si incentrano su quattro
elementi di fondo: il concetto di flusso di cassa o di grandezze a esso riconducibili, il concetto di
capitale investito, la misura di rischio, e l'orizzonte temporale di riferimento.
Flusso di cassa: come noto, un'impresa produce valore quando la somma delle risorse generate è
superiore all’ammontare di risorse assorbite. La dimensione delle risorse è così un elemento
essenziale che deve essere considerato da qualunque criterio di valutazione prescelto. E’ oramai
prassi consolidata considerare con il termine risorse i flussi di cassa assorbiti e liberati dall’impresa in
un periodo di tempo: i flussi di cassa sono così la variabile quantitativa di riferimento delle metodologie
di valutazione e assumono diverse configurazioni a secondo dei soggetti a cui si riferiscono (impresa
- FCFF; azionisti, FCFE).
Capitale investito: per capitale investito, si intende la somma del capitale proprio (patrimonio netto) e
dei debiti di un'impresa, ovvero dell'ammontare complessivo di risorse finanziarie a disposizione
dell'impresa. In altri termini, è l'investimento netto in un'impresa di chi fornisce capitale ed è pari alla
somma del capitale circolante netto e delle attività immobilizzate (attività fisse, avviamento e le altre
attività di natura operativa).
6 Sebbene tali metodologie siano più semplici e facili da usare rispetto al metodo dei flussi di cassa scontati,
non sempre le variabili individuate da ogni singolo metodo sono perfettamente correlate con il valore
derivante dall'attualizzazione dei flussi di cassa.
7 Nel calcolo del profitto economico, viene utilizzato il valore di libro delle azioni anziché il loro valore di
mercato e il ROE anziché il rendimento degli azionisti.
dove: WACC = costo medio ponderato del capitale; E = capitale proprio; D = debiti; D+E = capitale
investito; re = costo del capitale proprio; rd = tasso di interesse sul debito; t = aliquota fiscale media.
Una sola osservazione: se l'individuazione del tasso di interesse sul debito non presenta particolari
difficoltà, la determinazione del costo del capitale proprio costituisce una delle principali controversie
nel mondo finanziario. La metodologia più utilizzata è quella del Capital Asset Pricing Model (CAPM),
secondo cui il rendimento di un singolo titolo azionario è pari alla somma del rendimento offerto da
un'attività priva di rischio e dal premio al rischio, che è funzione del contributo del singolo titolo al
rischio del portafoglio di mercato e della covarianza dei rendimenti con le attività che compongono il
portafoglio di mercato:8
ri = Rf + (rm - rf)
dove: r = tasso di rendimento dell’azione; rf = tasso del rendimento privo di rischio; rm = tasso di
rendimento del mercato; = beta del titolo.
Orizzonte temporale: nella scelta dell'orizzonte temporale non esiste un criterio universalmente
valido considerato che il valore creato da un'impresa è influenzato dal settore economico in cui
l’impresa opera, dalla prevedibilità dei risultati, ecc. Se in linea generale, si considera un numero di
periodi limitato (da cinque a dieci anni) con un ripartizione delle osservazioni su base annua, più
correttamente si dovrebbe far coincidere l'orizzonte temporale coincide con il periodo di vantaggio
8 Markowitz, Sharpe, Lintner e Mossin hanno contribuito allo sviluppo della CAPM, che è un modello di
equilibrio alla base della moderna teoria finanziaria ed è derivato usando principi di diversificazione con
assunzioni semplificate. Secondo la CAPM, dal momento che il rischio non sistematico (unico di ogni titolo)
può essere ridotto dalla diversificazione del portafoglio, ne deriva che il rischio che deve essere valutato
dagli investitori non sia il rischio totale, bensì solamente il rischio di mercato che, pertanto, determinerà il
premio al rischio per l’investitore. La relazione tra le oscillazioni dei prezzi dei singoli titoli e quelle di
mercato, ovvero la diversa variabilità dei titoli al mercato, è misurata da un indicatore statistico denominato
coefficiente , che è il rapporto tra la covarianza tra il rendimento dell'azione e il rendimento del portafoglio
di mercato e la varianza di quest'ultimo.
Sebbene sempre più società si orientino ai modelli value-based grazie alla possibilità di valutare in
modo più profondo tutti gli aspetti legati alla gestione aziendale, la letteratura empirica non ha
individuato, a oggi, nessun criterio basato sulle tradizionali variabili (e.g., ROI, utile per azione, …) in
grado di definire con precisione l'evoluzione della ricchezza degli azionisti. Ciò perché una misura di
tale tipo non può essere considerata applicabile da tutti i vari soggetti interessati nei differenti aspetti
della performance di un'azienda.
Il Business Model10
9 Tale affermazione si basa sull'idea che le forze competitive tendano ad annullare gli extra-rendimenti e
facendo un modo che le imprese generino un rendimento pari al costo del capitale. La capacità di estendere
gli extra-rendimenti più a lungo possibile è il presupposto di fondo del vantaggio competitivo, che è
determinato da tre elementi: l'attuale rendimento sul capitale (il più alto possibile); la velocità di
cambiamento del settore economico in cui l'impresa opera (se il settore è fortemente competitivo e
dinamico, gli investitori tendono a ridurre il periodo di vantaggio competitivo); le barriere di entrata (più
alte sono, più lungo è il periodo di vantaggio competitivo). Cfr. Mauboussin M. J. (1997), Thoughts on
Valuation, Credit Suisse First Boston Equity Research, pagg. 8-9.
10 https://hbr.org/2015/01/what-is-a-business-model
Il Business Model Canvas (o BMC), in definitiva, è uno strumento visivo utilizzato per rappresentare in
modo conciso e chiaro il modello di business di un'azienda o di un'organizzazione, ed in particolare:
• Segmenti di Clientela (Customer Segments): In questa sezione, si identificano i diversi gruppi
di clienti o segmenti di mercato a cui l'azienda si rivolge. Questi possono essere clienti
individuali o gruppi di clienti con esigenze simili.
• Proposta di Valore (Value Proposition): Qui si specifica in che modo l'azienda crea valore per
i suoi clienti. Si tratta delle caratteristiche, dei benefici e dei vantaggi che rendono unico il
prodotto o il servizio dell'azienda.
• Canali di Distribuzione (Channels): Questo elemento descrive i canali attraverso i quali
l'azienda raggiunge e interagisce con i suoi clienti. Ciò può includere canali fisici, digitali o una
combinazione di entrambi.
Verdin & Tackx (2015)1 definiscono la creazione di valore come il beneficio percepito per il cliente.
Ciò è in linea con il concetto microeconomico dell'utilità dell'offerta di un'azienda per i propri clienti,
sia che migliori la qualità della vita per un consumatore finale (B2C) o aumenti la redditività di
un'azienda (B2B). Se un prodotto o un servizio non riesce a farlo, ovviamente non ha senso portarlo
sul mercato.
In linea con quanto detto prima, offrire un prodotto o un servizio utile da solo non è sufficiente. Le
strutture dei prezzi e dei costi dovranno tenere conto di una sufficiente “cattura di valore”2. Il fornitore
deve generare entrate e profitti sufficienti per i suoi azionisti. Se il valore creato da un'impresa privata
non è sufficientemente “catturato”, non vi è redditività a lungo termine dell'offerta.
Figura 4.1 Il framework di creazione di valore-cattura di valore (Verdin & Tackx, 2015)
Zoomare sulla distinzione e l'interazione di queste due dimensioni della creazione di valore e della
cattura di valore, ci porta al seguente modello dinamico3 che deve essere visto come un quadro per
1 Vedere: Verdin, P., & Tackx, K. (2015). Are you creating or capturing value? A dynamic framework for
sustainable strategy. M-RCBG Working Paper Series, 36, 1-19.
2 La “cattura del valore” in letteratura è anche chiamata “appropriazione di valore”, rivendicazione di
valore o estrazione di valore, sebbene quest'ultima abbia una connotazione più negativa al giorno d'oggi,
vedi ad esempio P. Strebel and S. Cantale (2014), “Is Your Company Addicted to Value Extraction?”,
Sloan Management Review, 55, pp. 95-96.
3 Una versione precedente di questo modello è stata introdotta in: G. Hawawini, V. Subramanian, and P.
Verdin, “Creating and Capturing Value: The Strategic Drivers of Performance”. Working paper, INSEAD,
Fontainebleau. 2003; illustrata nel caso studio di PayPal (2006), in: S. Nysten and P.Verdin. “Successfully
creating and capturing value, the e-business model of PayPal Inc”. Working Paper, ULB-Solvay Business
School, 2004; e applicata all’industria dell’asset management, in: P. Verdin, “The Strategic Imperative of
Creating and Capturing Value”, in: I. Walter and P. Verdin, eds., “Growth and Value Creation in Global
Asset Management, SimCorp StrategyLab/Palgrave, London/Copenhagen, June 2010; ristampato in: I.
Walter and M. Pinedo, eds., Handbook of Asset Management, Palgrave/MacMillan, London/NY, 2013.
aiutarci a comprendere la sfida strategica che influenza la situazione di un'azienda in un determinato
mercato o settore.
Iniziamo dalla situazione di "sogno" (in basso a destra nella Figura 4.1), in cui le aziende consolidate
generano profitti consistenti anche se il valore che creano può essere relativamente limitato o
addirittura in diminuzione. Questo sembra valere per molte aziende con posizioni di mercato solide
o (quasi) monopolistiche, come nel caso di molte aziende nel settore delle telecomunicazioni, delle
utilities o dei servizi postali prima della deregolamentazione, e per le grandi compagnie petrolifere
negli anni '60, IBM negli anni '80 e Kodak o De Beers fino agli anni '90.
Tutte queste aziende hanno goduto dei vantaggi della loro posizione, fino a quando l'antitrust, la
deregolamentazione o nuovi concorrenti sono comparsi, mettendo pressione sui prezzi e sui margini.
La comparsa e la crescita improvvisa di molti nuovi arrivati, in particolare quelli che traggono vantaggio
dalla tecnologia e dalle opportunità basate su Internet, forniscono molti altri esempi di attività o settori
redditizi minacciati da nuovi concorrenti creativi, che sia nel settore dei taxi, dell'ospitalità, dei servizi
finanziari o del commercio al dettaglio. Le pressioni dalla (de)regolamentazione o dagli innovatori
"disruptive" spingono invariabilmente le aziende consolidate nell'angolo in basso a sinistra della
figura 4.1, noto anche come "inferno".
Inizialmente, la pressione passa inosservata e le aziende tendono a essere accecate dalla negazione:
"questo non succederà a noi"; "durerà il nostro tempo"; "gustiamoci i bei tempi finché durano";
"business as usual" o "non capite, siamo diversi!". Tuttavia, i prezzi e i margini saranno sotto pressione
e daranno un segnale di sveglia, probabilmente portando a una riflessione e reazione strategica.
In realtà, però, spesso prevale l'inerzia, e la tensione tra ottimizzazione a breve termine e
cambiamento strategico a lungo termine si risolve spesso a vantaggio del primo. La paura eterna della
"cannibalizzazione" si inserisce chiaramente in questo schema.
Inoltre, dispongono di varie misure tampone per cercare di evitare o almeno ritardare le pressioni
immediate, potenzialmente aggravando la crisi in atto. Tali misure si presentano in diverse forme:
fissare i prezzi, collusionare o formare cartelli, introdurre aumenti di prezzo nascosti o, al contrario,
tagliare i prezzi in modalità panico; tagli dei costi e ristrutturazioni (senza una strategia basata sui
costi); i soliti sospetti del "cross-selling" (anche quando il cliente potrebbe non essere interessato
all'"acquisto incrociato"), del "one-stop shopping" (anche quando il cliente non si ferma) o dei "servizi
a valore aggiunto" (senza alcun valore aggiunto); mirare a "vincolare il cliente" anziché creare una vera
fedeltà basata su un valore superiore per il cliente; fare lobbying per una maggiore regolamentazione;
e ultimo ma non meno importante: fusioni e acquisizioni mirate all'acquisto della concorrenza anziché
batterla (in nome di economie di scala, sinergie o "consolidamento del settore"), solo per citarne
alcuni (tutte variazioni di quello che chiamiamo "gioco orizzontale", muovendosi lateralmente nella
parte inferiore del modello).
Prima o poi, le misure difensive potrebbero non essere sufficienti per evitare il destino delle pressioni
da parte dei clienti, della concorrenza o del pubblico, spingendo ulteriormente verso l'angolo in basso
a sinistra: questo è l'"inferno"! È caratterizzato dalla commoditizzazione, ossia dalla bassa creazione
di valore e dalla bassa cattura di valore (spesso definito anche come "inferno delle commodity",
"trappola delle commodity" o "magnete delle commodity"). Questa potrebbe essere la sorte o l'ultima
fase delle aziende in settori in declino prima di finire in bancarotta (ad esempio American Airlines) o di
essere acquisite (ad esempio la divisione di telefoni cellulari di Nokia).
L'unica via d'uscita da questa situazione è iniziare a (ri)concentrarsi sulla creazione di più valore per il
cliente rendendo l'offerta più convincente nei confronti dei clienti. Tale riorientamento richiede di
scalare il muro dell'innovazione, rappresentato da un movimento verso l'alto lungo l'asse verticale del
nostro modello, forse la priorità strategica più importante di sempre come affermato ad esempio
dall'ex CEO Samuel Palmisano di IBM: "O si innova, o si è nell'inferno delle materie prime".
Creare e innovare valore per i clienti richiede ovviamente duro lavoro e investimenti a lungo termine.
Sono al centro del successo strategico, o almeno la fonte ultima o il fattore chiave di esso. E, come
studi recenti hanno sostenuto e illustrato, e alcuni basati su prove empiriche, ci sono solo due modi
per aggiungere e creare valore con successo in modo coerente: o diventando il campione del prezzo
più basso (che richiede una continua "innovazione dei costi)" o concentrandosi su un valore superiore
per il cliente (mirando a un prezzo elevato, richiedendo un'innovazione continua del valore).
In poche parole: a meno che tu non intenda e riesca a diventare il Wal-Mart o la Ryanair del tuo settore
che offre i prezzi più bassi e sempre più bassi, la tua strategia dovrebbe mirare a offrire continuamente
un valore migliore - migliore di prima e migliore dei concorrenti. Alcuni dei risultati più recenti
sembrano supportare l'opinione secondo cui concentrarsi sul valore nella maggior parte dei casi è la
strada migliore da percorrere, piuttosto che sul prezzo. Ciò consente di catturare parte di quel valore
attraverso prezzi più alti, mentre la strategia del prezzo basso dovrebbe consentire di catturare di più
grazie a costi sempre più bassi (e ai conseguenti aumenti di volume).
Includiamo qui qualsiasi tipo di innovazione di valore, che copre l'intero spettro dai miglioramenti
marginali a quelli radicali o dirompenti nei prodotti, nei servizi o nel modello di business, purché creino
valore aggiunto per il cliente. Si può notare incidentalmente che il termine ormai così popolare di
innovazione "dirompente" rivela in realtà indebitamente qualche pregiudizio difensivo o ripiegato su
se stesso, poiché a nostro avviso non vi è nulla di dirompente o perturbato per il cliente o il
consumatore, ma solo nuove opportunità e valore aggiunto e la potenziale perturbazione si riferisce in
primo luogo all'impresa che la offre o è interessata dalla nuova offerta che rischia di essere
"perturbata".
Dovrebbe essere chiaro che il valore viene creato a livello di un'azienda, non a livello di un settore,
come Ted Levitt ha giustamente sostenuto ora più di 50 anni fa nel suo articolo ‘Market Myopia’: “In
verità, non esiste un'industria in crescita, credo. Ci sono solo aziende organizzate e gestite per creare
e capitalizzare opportunità di crescita.” Da allora è stato inoltre ripetutamente dimostrato in una serie
di studi e approcci che l'industria e altri fattori esterni spiegano in realtà solo una piccola parte della
variazione della redditività tra le imprese, molto in linea con questa prospettiva.
Tale sembra essere la situazione di alcune aziende affermate che riescono a proporre innovazioni che
i clienti apprezzano ma non sono (ancora) in grado di raccogliere i loro benefici, a causa di un modello
di business inefficace o di una proposta di valore difettosa, in particolare in condizioni altamente
competitive (ad esempio Philips).
La maggior parte se non tutte le startup condividono questa sfida. Possono avere grandi quantità di
"bulbi oculari" (vedi la bolla dotcom del 2000 o Facebook fino a poco tempo fa) o anche acquirenti (ad
esempio Amazon) ma poco o nessun profitto e possono sopravvivere solo finché gli investitori
continuano a mantenere la fiducia che prima o poi verranno ricompensati profumatamente (e quindi
si sposteranno in alto a destra come Facebook).
In nessun modo stiamo affermando che solo in seguito dovremmo preoccuparci dell'acquisizione di
valore, dal momento che potrebbe essere difficile convincere i clienti a iniziare a pagare (di più) più
tardi. In linea di principio sembra che dovremmo essere in grado di allineare i nostri prezzi il più
possibile e il più vicino possibile con il pacchetto di valore specifico o la proposta di valore che stiamo
offrendo. PayPal ad esempio, è riuscito ad adattare gradualmente la sua struttura dei prezzi in linea
con le funzionalità che stava aggiungendo nel tempo e questo potrebbe essere almeno uno dei motivi
del suo successo laddove altri hanno fallito12 Quando sei in grado di fare proprio questo, sei sulla
buona strada per il "paradiso".
Catturare valore significa che dovresti essere in grado di trasformare la tua creazione di valore (come
realizzato in una proposta di valore concreta) in un business sostenibile, attraverso quello che di solito
chiamiamo un "modello di business" Lo studioso di strategia David Teece, ad esempio, lo ha messo
così: "L'essenza di un modello di business sta nel definire il modo in cui l'impresa fornisce valore ai
clienti, invoglia i clienti a pagare per il valore e converte quei pagamenti in profitto".13 Questo è il punto
in cui il prezzo diventa cruciale14: il mezzo per catturare una quota del valore creato per assicurare la
sostenibilità fornendo ritorno e risorse per ulteriori investimenti.
Nike è un'azienda che è riuscita a creare più valore per i propri clienti approcciando in modo
sequenziale sport diversi attraverso una strategia di "categoria offensiva"15, concentrandosi
fortemente sull'esperienza del cliente piuttosto che sui benefici funzionali. Sebbene a un livello
inferiore sia di creazione di valore che di acquisizione di valore rispetto a Nike, Singapore Airlines e
Southwest Airlines o Ryanair all'altra estremità dello spettro sovraperformano i loro concorrenti diretti
su entrambe le dimensioni grazie a una proposta di valore chiara e in continuo miglioramento,
rimanendo molto redditizi in un settore difficile e in un ambiente economico.
Così facendo possiamo finalmente arrivare in "paradiso" – tuttavia non è un paradiso dove ci si può
sedere e rilassarsi. Anche se la tentazione ci sarà, specialmente quando hai avuto successo e hai
creato il tuo nuovo prodotto, mercato, industria e guadagnato una posizione rispettabile, non puoi
riposare sugli allori. Come dimostrano sempre più mercati e casi, non esiste quasi mai un vantaggio
intrinsecamente sostenibile. In ultima analisi, la sostenibilità deriverà dalla nostra capacità di
innovare, sostenere e migliorare costantemente il nostro valore (proposition) per il cliente (come
sempre più illustrato e argomentato, ad esempio nei recenti contributi su "vantaggio transitorio"16 e
"ripetibilità"17).
Se ci si concentra troppo sulla cattura del valore a scapito della continua creazione di valore, si rischia
di cadere nella trappola del "fallimento del successo". La maggior parte delle aziende ha riscontrato
questo ad un certo punto nel tempo, e molti di loro non sono stati in grado di mantenere la loro
posizione o il record di successo. Ad esempio, solo il 13,4% delle aziende che erano nella top 500 di
Fortune nel 1955 sono ancora lì oggi18 e il numero medio di anni in cui un'azienda sopravvive nella
stessa lista è ora inferiore a 15 anni19.
Sembra esserci una certa "legge di gravità" che ci tira invariabilmente giù dal cielo, indebolendo i nostri
sforzi di creazione di valore relativo e mettendoci a dormire (nello scenario del sogno), mentre
diventiamo troppo concentrati sull'ottimizzazione della cattura (riflessa in metriche fuorvianti come
margine percentuale, quota di mercato ecc.) Potremmo persino aumentare la nostra cattura, mentre
la nostra creazione di valore sta diminuendo, mungendo, raccogliendo, migliorando i risultati finanziari
a breve termine, tagliando gli investimenti e perdendo di vista la futura creazione di valore, fino a
quando la deregolamentazione, l'antitrust e / o nuovi concorrenti si presentano spingendoci sulla
difensiva e alla fine sfidando la nostra sopravvivenza.
Questo tipo di movimento può verificarsi molto rapidamente, come dimostrato da esempi recenti
come Nokia e Blackberry nel settore dei telefoni cellulari, e sembra che il tempo tra il comodo "sogno"
e una corsa per la sopravvivenza all'"inferno" si sia ridotto rapidamente, in particolare in quelle aree in
cui le nuove tecnologie (e i modelli basati su Internet che spesso esibiscono caratteristiche "chi vince
prende tutto") dominano sempre più. I nostri risultati empirici riportati di seguito su un ampio gruppo
di aziende Fortune 500 illustrano ed elaborano questi punti.
In sintesi, guardando indietro alla Fig. 4.1, per le aziende esistenti c'è un flusso naturale in senso orario
dal sogno (casella in basso a destra) al paradiso (casella in alto a sinistra) attraverso le fasi intermedie
dell'inferno e dell'incubo. Dal sogno all'inferno siamo spinti dall'incapacità di reagire alla pressione
competitiva o normativa. Le aziende di successo trovano nuovi modi per creare valore per i propri
clienti e muoversi verticalmente. Se riusciranno anche a monetizzare la loro offerta, si verificherà lo
spostamento verso il cielo. Una volta arrivati nella situazione celeste, è necessario un miglioramento
continuo per non diventare compiacenti e resistere alla continua tentazione di scivolare in un sogno.
I nuovi entranti di maggior successo entrano in alto a sinistra: hanno trovato un nuovo modo per creare
valore per un numero di clienti che apprezzano e acquistano il prodotto o i servizi. Sfortunatamente,
molte di queste aziende (anche quelle grandi come Amazon) non riescono immediatamente a estrarre
un profitto sostanziale dalla loro offerta e rischiano di scomparire se non consegnano o riescono a
sostenere le aspettative degli investitori.
Questa tensione tra creazione e cattura culmina al punto in cui ci rendiamo conto che l'unico modo
affidabile per sapere e verificare se stiamo effettivamente creando valore sufficiente rimane ... se
siamo in grado di catturarlo (abbastanza) sulla scia della crescente concorrenza. Non è quindi
nemmeno la "disponibilità a pagare", ma in definitiva qualunque cosa il cliente stia effettivamente
pagando o abbia pagato, ciò che conta di più.
GESTIONE AZIENDALE
Autunno 2024
Dispensa #5
La pianificazione strategica
Una volta che l’impresa ha definito la sua missione e i suoi obiettivi, deve tradurli in
adeguate strategie a livello corporate, a livello business e per area funzionale1 a cui
seguiranno mirati piani di azione necessari per gestire e controllare la realizzazione del
piano strategico.
La prima domanda richiede l’individuazione dei mercati che l’impresa vuole servire (quali
mercati servire?), la seconda riguarda la tipologia di prodotti/servizi che devono essere
forniti (come di erenziare i prodotti/servizi o erti?), mentre la terza indica le competenze
distintive che l’impresa deve disporre per soddisfare con successo le necessità (di quali
competenze disporre?).
In tale approccio, dove al centro dell’attenzione viene posto il cliente, l’iterazione tra
mercati, prodotti/servizi e competenze distintive determina l’ampiezza delle attività di
un’impresa che può variare a seconda della strategia competitiva e della strategia di
crescita dell’impresa.
1
La strategia corporate e la strategia di business sono oggetto rispettivamente della Dispensa #10 e della Dispensa
#11. In questa dispensa vengono presentati alcuni cenni sulla strategia di business conosciuta come strategia
competitiva generica.
a) o rendo prodotti/servizi che sono di erenti da quelli dei concorrenti e che sono
percepiti come tali dai clienti – strategia di di erenziazione;
b) o rendo prodotti o servizi standard, prodotti però a un costo più basso – strategia
della leadership di costo;
c) o rendo una combinazione delle prime due opzioni – strategia ibrida del “best cost”.
A seconda dell’ampiezza del mercato servito, le strategie di cui sopra possono essere di
focalizzazione, ovvero essere basate sulla di erenziazione, sulla leadership di costo o sul
“best cost” cercando di soddisfare le esigenze di specifici segmenti di clientela o di
mercato. La descrizione delle strategie competitive è oggetto della Dispensa # 11, che
tratterà delle strategie a livello business.
● gli obiettivi che l’impresa si pone per ogni attività (definita dalla combinazione tra
mercato e prodotto) in cui decide di competere;
Più tali elementi sono conosciuti dall’impresa, più è robusta la capacità dell’impresa di
operare con successo. Allo stesso tempo, la comprensione di tali fattori è di
fondamentale importanza per stabilire il futuro equilibrio dell’impresa dato che esso
dipende strettamente dagli obiettivi dell’impresa, dalla corrette scelte strategiche, dalle
condizioni di mercato, dalle caratteristiche operative e dal grado di rischio.
La strategia, considerata come “arte nella gestione delle armi”, trae le sue origini
nell’Antica Grecia e in Asia intorno al VI-V secolo a.c. Il primo trattato sulla strategia è
considerato lo scritto del condottiero Sun Tzu, intitolato l’arte della guerra, in cui sono
descritti i principi alla base di una strategia di successo: meticolosa pianificazione,
determinazione di chiari obiettivi, disponibilità di risorse di qualità, conoscenza
dell’ambiente esterno e, infine, capacità di porre in atto la strategia.
Il passaggio dell’utilizzo della strategia dall’arte militare al mondo economico è però
molto più recente e risale agli anni sessanta quando la combinazione di tre elementi
determinò le condizioni ideali per l’introduzione del processo strategico nella gestione
d’impresa. I fattori alla base dello sviluppo della strategia aziendale furono la visione
illuminata di dirigenti di società multinazionali, prestigiose ricerche accademiche e la
forza propulsiva espressa dalla società di consulenza.
Proprio negli anni sessanta furono pubblicati i pionieristici lavori sullo strategic
management di Chandler (1962) e Anso (1965) e fu introdotto l’utilizzo di matrici e
modelli (quali la matrice BCG e la matrice General Electric/McKinsey, di cui si tratterà nella
Dispensa #10) che ancora oggi influenzano la pratica della strategia aziendale.
Dalla sua introduzione a oggi, lo sviluppo dello strategic management è stato continuo
anche se sovente frammentato.
Hoskisson e altri (1999) descrivono chiaramente la frammentazione e la poca linearità
dell’evoluzione degli studi strategici ricorrendo alla metafora del pendolo. Secondo gli
L’analisi SWOT è uno strumento largamente utilizzato nell’ambito del processo strategico
così come testimoniato dalla Figura 6.1.
La SWOT analysis conduce non solo all’identificazione delle competenze distintive di ogni
impresa, ma pure all’individuazione delle opportunità e delle minacce di mercato. I punti di
forza (strenghts) sono le positive caratteristiche interne dell’impresa su cui fare leva per
raggiungere gli obiettivi strategici. I punti di debolezza (weaknesses) sono invece le
caratteristiche interne che possono frenare o inibire le performance dell’impresa.
Più precisamente, l’analisi SWOT sintetizza gli elementi strategici in una generale visione
(cfr. Figure 2 e 3).
Parimenti, le minacce (threats) sono i fattori esterni che ne possono limitare o impedire la
realizzazione. Le informazioni sui fattori di successo esterni sono derivate dall’analisi
dell’ambiente generale nelle sue principali componenti (aspetti socio-culturali, economici,
tecnologici, politico-legali), dall’analisi del settore economico in cui l’impresa (dimensione,
tasso di crescita, …) e dall’analisi del comportamento degli attori con cui l’impresa si
confronta sul mercato (clienti, fornitori, concorrenti).
Tra gli strumenti più di usi nel definire le opportunità e minacce presenti in un dato
settore economico si segnala il modello delle cinque forze, anch’esso ideato dal prof.
Michael Porter della Harvard University.
Rinviando alla Dispensa#9 la più ampia descrizione del contributo di Porter in tema di
analisi del mercato, si segnala in questa sede che il modello in oggetto esamina in modo
strutturato l’attrattività del mercato e spiega le di erenti performance dei settori
economici: esso contribuisce alla migliore comprensione delle caratteristiche del mercato
perché estende l’esame della pressione competitiva non solo alla rivalità tra i concorrenti
attuali, ma pure all’esistenza di prodotti sostitutivi, alla possibile entrata di nuovi
potenziali concorrenti e al potere contrattuale dell’azienda nei confronti di clienti e
fornitori.
Nel mercato in cui l’impresa opera, la presenza di opportunità superiori alle minacce
ra orza la valutazione sulle prospettive di sviluppo dell’impresa. Più precisamente, la
valutazione sarà tanto più positiva quanto più l’impresa dimostra di sapere cogliere le
opportunità che il mercato o re e di sapere mitigare/attenuare le eventuali minacce
presenti.
1
La Dispensa #8 sarà dedicata alla descrizione del modello della catena del valore.
L’analisi SWOT è utile per accompagnare la scelta dell’impresa nel definire la sua strategia
competitiva (cfr. Dispensa #11) nel settore/mercato in cui opera2. Infatti, identificare e
definire in quale settore e in quale mercati l’impresa opera è essenziale per capire la bontà
della sua strategia competitiva.
2
Il settore è l’area omogenea per tecnologie e fattori di successo; gruppi di clienti e bisogni serviti, mentre il mercato è
l’area di domanda omogenea per prodotti relativamente sostituibili, provenienti anche da settori diversi.
● Previsione: Sviluppare proiezioni sui risultati futuri sulla base di quanto monitorato
Le variabili di natura generale che vengono prese in esame possono essere così
esemplificate:
● Fattori globali: importanti eventi politici, globalizzazione dei mercati, nuovi paesi
industrializzati, di erenti attributi culturali e istituzionali
● Fattori economici: crescita del PIL, tasso di inflazione, tasso di interesse, bilancia
commerciale, deficit o surplus di budget, livello di risparmio
Il modello di Lederman è una matrice che vede sulla dimensione verticale la probabilità
che un determinato fenomeno si verifichi, stabilendone l’entità (bassa, media, alta) e su
quella orizzontale l’impatto che la variabile individuata può avere sull’azienda (basso,
medio, alto).
La matrice dà origine a nove caselle, date dall’incrocio tra le due dimensioni prese in
esame, che a loro volta individuano tre aree di criticità:
L’analisi del settore esamina l’insieme di elementi che influenzano direttamente l’azienda
e le sue strategie e le sue azioni competitive. L’interazione tra i diversi fattori determina il
profitto potenziale di un settore industriale (e quindi la sua attrattività).
Le metodologie più di use per l’analisi del settore sono il modello delle cinque forze
(Porter, 1980) e il modello del ciclo di vita del settore
Il modello delle cinque forze, ideato da Michael Porter, si basa sul paradigma SCP
(Struttura – Condotta– Performance) elaborato sulle ricerche di Mason (1939) e Bain
(1951, 1956), docenti ad Harvard, che prevede che la struttura del mercato determina la
condotta dell’impresa che ne determina a sua volta le sue performance.
Il modello delle cinque forze esamina in modo strutturato l’attrattività del mercato e
spiega le di erenti performance dei settori economici: esso contribuisce alla migliore
comprensione delle caratteristiche del mercato perché estende l’esame della pressione
competitiva non solo alla rivalità tra i concorrenti attuali, ma pure all’esistenza di prodotti
sostitutivi, alla possibile entrata di nuovi potenziali concorrenti e al potere contrattuale
dell’azienda nei confronti di clienti e fornitori (cfr. Figura 4).
Le forze competitive sono considerate opportunità quando sono deboli: per esempio, se
l’intensità della concorrenza fosse bassa, l’impresa, a parità delle altre condizioni, ha
maggiori possibilità di generare profitti più alti.
Viceversa, le forze competitive sono minacce quando sono forti: per esempio, se fossero
elevate le possibilità di ingresso sul mercato di nuovi concorrenti (perché le barriere di
entrata sono basse), l’impresa, a parità delle altre condizioni, ha minori possibilità di
generare alti profitti.
Il corretto utilizzo del modello permette non solo di fare analisi, ma di capire le future
implicazioni strategiche per l’impresa contribuendo a dare una risposta ai seguenti
quesiti: è possibile cambiare la relazione con i fornitori? è possibile costruire una nuova
relazione con i clienti? quali sono i fattori di successo e come costruirli? come cambia la
natura della competizione?
Nonostante il suo intenso utilizzo, il modello di Porter non è immune da difetti. Per i suoi
critici, il modello è innanzitutto statico e ignora l’innovazione. La focalizzazione sullo
status quo spinge a concentrarsi su temi quali la costruzione di barriere e a fare sì che il
modello sia reattivo e non proattivo (dato che ogni forza tende a mantenere il suo ruolo
nel modello). Inoltre, il modello tende a ignorare la forza governativa (e.g. Legge
Antitrust) e la qualità delle risorse umane. Infine, esso pone l’attenzione sulla struttura
dell’industria più che sulla singola impresa. Tuttavia, l’innovazione crea cambiamenti nella
struttura del settore, alterando l’ambiente competitivo, e la sua struttura dell’industria
non può spiegare completamente le di erenze di performance tra le società.
Una volta individuata la fase in cui si trova il settore (introduzione, sviluppo, maturità,
declino) e, quindi, comprese le caratteristiche di fondo del settore in termini di clienti,
concorrenti, crescita e profitti (cfr. Figura 6) è possibile formulare per l’impresa la
strategia più appropriata per competere con successo sul mercato. In altri termini, dalla
collocazione di ogni settore nella fase del ciclo di vita corretta dipende l'adozione della
strategia più idonea.
Come per il modello di Porter, anche il modello del ciclo di vita presenta alcuni limiti che
possono essere così sintetizzati:
Attraverso l’analisi della concorrenza, l’impresa cerca di capire (cfr. Figura 7):
● cosa pensano i concorrenti del futuro andamento del settore (quali sono le loro
assunzioni?);
La risposta alle domande di cui sopra consente all’impresa di capire cosa faranno i suoi
concorrenti nel futuro, dove manterrà un vantaggio competitivo nei confronti dei
concorrenti e, infine, come potrà cambiare la sua relazione con i principali competitor.Tra
gli strumenti più di usi per analizzare e classificare le strategie delle imprese che operano
in un settore, per comprendere i rapporti di rivalità esistenti e per fornire indicazioni sulla
capacità concorrenziale e sulle leve strategiche che possono essere utilizzate, si segnala l’
approccio dei gruppi strategici.
● all’interno di ciascun settore esistono più gruppi strategici, ciascuno dei quali
riunisce imprese simili tra loro, ma di erenti da quelle appartenenti ad altri gruppi
strategici;
L’appartenenza ad uno stesso gruppo strategico dipende dalla strategia che ciascuna
azienda persegue, e in particolare dai segmenti di mercato prescelti, dall’ampiezza della
gamma o erta, dal livello dei prezzi, dalla qualità del prodotto/servizio, dall’immagine di
marca, dalla spesa pubblicitaria e dai canali di distribuzione. La possibilità di passare da
un gruppo strategico a un altro è ostacolata dalle barriere alla mobilità come indicato
nella Figura sottostante, che rappresenta l’applicazione dei gruppi strategici al caso degli
yogurt.
Figura 7.8: L’individuazione dei gruppi strategici nel settore caseario (yogurt)
Studiando l’ambiente interno, l’impresa identifica cosa può fare sulla base delle risorse
uniche, delle capacità e, quindi, delle competenze chiave di cui dispone. In altri termini,
l’impresa capisce come può costruire il suo vantaggio competitivo sostenibile.
Attraverso l’analisi interna, l’impresa cerca di dare una risposta alle seguenti domande:
● Come assembliamo gruppi di risorse, capacità e competenze per creare valore per i
nostri clienti?
L’analisi interna cerca così di scoprire quali sono le competenze chiave dell’impresa che
sono, a loro volta, derivate dalle risorse, tangibili e intangibili, e dalle capacità dell’impresa
(cfr. Figura 1).
Le capacità diventano importanti quando danno vita a uniche combinazioni che creano le
competenze–chiave che hanno valore strategico e contribuiscono alla creazione del
vantaggio competitivo. Le capacità sono ciò che l’impresa fa e rappresentano l’abilità
dell’impresa di integrare le singole risorse per raggiungere l’obiettivo desiderato.
● non essere facilmente sostituibile, ovvero non avere equivalenti strategici per
essere invisibile ai concorrenti ed essere legata alla specifica conoscenza
dell’impresa.
Nel corso degli anni sono state proposte diverse definizioni di vantaggio competitivo.
Così, ad esempio, Robert Grant lo definisce come la "capacità dell’impresa di superare gli
avversari nel raggiungimento del suo obiettivo primario: la redditività" (Grant, 1999,
p.218); mentre, per Enrico Valdani, è "la capacità distintiva" (o competenza distintiva) "di
un'impresa di presidiare, sviluppare e difendere nel tempo, con maggiore intensità dei
rivali, una capacità market driving o una risorsa critica che possono divenire fattori critici
di successo" (Valdani, 2003).
Porter spiega l’origine del vantaggio competitivo con il concetto di valore. La fonte del
vantaggio competitivo è la creazione di valore per i clienti: «il vantaggio competitivo nasce
fondamentalmente dal valore che un’azienda è in grado di creare per i suoi acquirenti, che
fornisca risultati superiori alla spesa sostenuta dall’impresa per crearlo. Il valore è quello
che gli acquirenti sono disposti a pagare: un valore superiore deriva dunque dall’o rire
prezzi più bassi della concorrenza per vantaggi equivalenti, o dal fornire vantaggi unici che
controbilancino abbondantemente un prezzo più alto».
1
P. Parini (1996), Vantaggio competitivo e controllo strategico, Giappichelli, Torino, p. 43.
La superiore e cienza operativa produce riflessi positivi sui costi aziendali. Per molte
imprese, l’e cienza produttiva (volumi di vendita per dipendente) è un elemento chiave. Il
miglioramento dell’e cienza operativa richiede strategia, organizzazione e controllo così
come la corretta implementazione di programmi produttivi e operativi. L’e cienza è un
elemento critico soprattutto per le imprese che seguono una strategia di “leadership di
costo”, ma rimane importante anche per le altre imprese.
La superiore qualità dei prodotti/servizi o erti produce un positivo impatto sui profitti
dell’azienda per due ragioni: a) favorisce l’incremento dei prezzi di vendita per il fatto che il
mercato percepisce la più alta qualità del prodotto/servizio; b) fa crescere la produttività
perché riduce i costi di ri-lavorazione e il numero di rese dei prodotti determinando così
una riduzione dei costi operativi. Più alti prezzi di vendita e più bassi costi operativi
conducono a più alti profitti.
La combinazione degli e etti prodotti dai pilastri su cui si fonda il vantaggio competitivo
dell’impresa eleva la capacità di creare valore e, quindi, ne ra orza la capacità di reddito.
L’impresa che fonda il vantaggio competitivo su robusti pilastri ha un posizionamento più
favorevole rispetto all’impresa che non ha un chiaro vantaggio competitivo o che non
riesce a sostenere nel tempo il suo vantaggio rispetto ai concorrenti.
Tra gli strumenti più di usi nel definire i punti di forza e di debolezza si segnala l’analisi
della catena del valore (value chain analysis), un modello sviluppato da Michael Porter
della Harvard University (1980, 1985) in cui le attività di ogni organizzazione sono distinte
in primarie e di supporto al fine di evidenziare in quali aree funzionali risiedono le
competenze distintive dell’impresa e dove invece sono presenti problemi e/o ine cienze.
La catena del valore visualizza il valore totale e comprende due elementi (cfr. Figura 4): le
attività generatrici del valore e il margine. Le prime sono costituite da tutte quelle attività
che vengono svolte nell’impresa per progettare, produrre, vendere, consegnare e assistere
i clienti dopo l’acquisto del prodotto; sono definite da Porter come i blocchi costituitivi con
i quali l’impresa crea un prodotto valido per i suoi compratori. Il margine è la di erenza tra
● Logistica in entrata: comprende tutte quelle attività di gestione dei flussi di beni
materiali all'interno dell'organizzazione.
● Logistica in uscita: comprende quelle attività di gestione dei flussi di beni materiali
all'esterno dell'organizzazione.
● Assistenza al cliente e servizi: tutte quelle attività post-vendita che sono di supporto al
cliente (ad es. l'assistenza tecnica).
In pratica, il management deve comprendere: dove sta andando l’impresa? dove si trova?
quali scelte sta compiendo? su quali informazioni basa le sue scelte (revisione dei dati
storici, analisi dei punti di forza e di debolezza, analisi delle opportunità e minacce di
mercato, analisi della concorrenza e dei trend in atto)?
Come oramai noto, al cuore dell’analisi esterna e interna vi sta la necessità di meglio
capire cosa sta succedendo (dentro e fuori l’azienda) per trovare le giuste contromosse.
Prima di dare vita al vero e proprio piano d’impresa, è fondamentale trovare il grado di
ridondanza o di coerenza con:
Se non c’è “overlap” tra questi tre elementi, allora è possibile sviluppare il formale piano
strategico.
Per esempio, si supponga che l’impresa abbia la seguente missione: “Vogliamo essere
leader nel mercato dell’abbigliamento sportivo”. Tuttavia, la mancanza di risorse
finanziarie o la presenza di una forte concorrenza possono precludere il raggiungimento
Per capire come l’analisi SWOT lavora, si presenta una sua possibile applicazione.
Punti di forza: Qualità dei prodotti, Buona fedeltà del cliente. E cienza della logistica.
Punti di debolezza: Management poco innovatore. Lieve erosione delle quote di mercato
per azione aggressiva dei concorrenti. Necessità di ra orzare la dotazione di mezzi
finanziari (non di natura debitoria).
Opportunità e minacce: I clienti chiedono servizi più personalizzati in più aree – lancio di
prodotti, post-vendita. Le aziende più grandi hanno maggiori risorse per lanciare
campagne pubblicitarie. I nuovi canali cambiano le modalità di distribuzione dei prodotti.
Dopo avere stilato l’elenco delle variabili più significative, la combinazione delle diverse
dimensioni dà origine a quattro tipologie di strategie così come rappresentato nella
Figura sottostante.
Il piano d’impresa muove dalla missione per sviluppare un set di obiettivi strategici che
colgano i principali fattori di successo che caratterizzeranno il futuro. Sebbene questi
siano le principali determinanti degli obiettivi strategici, occorre considerare anche questi
elementi:
● Risorse disponibili: il piano strategico si sviluppa sulla base del miglior utilizzo delle
risorse.
● Coerenza con le performance passate (che sono un buon indicatore delle capacità).
La visione aziendale è l’idea di sviluppo futuro di una certa situazione politica, economica
o sociale. La visione non riguarda l’azienda, ma tutto il mercato. L’impresa che non ha
visione rischia di scomparire.
Esempi di visione aziendale sono: “Il mondo avrà sempre più bisogno di comunicare”
oppure “La società moderna avverte sempre più l’esigenza di produrre energia pulita”. In
linea di massima risponde alla domanda “Quale sarà il futuro del mercato?”
“If you want to move people it has to be toward a vision that is positive for them, that
taps important values and gets something they desire. It must be presented in a
compelling way that they feel inspired to follow.”
La missione è la ragione per cui l’azienda esiste e spiega cosa farà l’azienda nello scenario
futuro. In particolare, esplicita quali bisogni presenti e futuri soddisfa nello scenario
ipotizzato nella visione.
La missione risponde alla domanda “cosa fate di buono per il mondo?” Per esempio, nel
caso di un’azienda che produce abbigliamento sportivo, la risposta non deve essere
semplicemente “Abbigliamento sportivo”, ma qualcosa come “Eleviamo il piacere di fare
sport ”
Una buona missione è quella che cattura l’essenza dell’azienda e deve avere le seguenti
caratteristiche: a) fornire la direzione e la visione complessiva dell’impresa; b) trasmettere
un’immagine di successo per a rontare il futuro; c) definire i confini competitivi; d)
contenere riferimenti al mercato e ai prodotti/servizi; e) evitare di essere troppo specifica.
Dopo avere definito la sua visione e la sua missione, l’impresa deve fissare i suoi obiettivi
strategici, ovvero ciò che deve raggiungere ed è critico per il successo.
Per essere definiti tali, giova ricordare che gli obiettivi strategici devono superare i
seguenti test?
● Gli obiettivi strategici sono realistici e raggiungibili sulla base delle risorse
disponibili, sulla competizione esistente, sulla capacità del management, .e così
via?
Le decisioni che impattano sulle prestazioni dell’impresa possono essere prese ai livelli di
corporate, di unità di business e di funzioni tipiche delle aziende.
Le attività della strategia corporate sono svolte ai massimi livelli dell’organizzazione dalla
Direzione Generale e dal Consiglio di Amministrazione.
Il compito generale della strategia corporate è quello di individuare quali sono i settori in
cui competere (in quale business l’impresa deve operare?) e le unità di business in cui si
deve articolare l’impresa (come deve essere gestito il portafoglio di attività/business?). La
corporate strategy è così ciò che rende il valore dell’azienda nel suo complesso maggiore
della somma delle singole business unit.
● il grado di integrazione verticale, cioè l’ampiezza della filiera produttiva che viene
gestita direttamente dal Gruppo nei diversi settori;
● gli investimenti che devono essere a rontati per lo sviluppo dei nuovi business;
Le decisioni sul portafoglio d’impresa sono di due tipi: il primo tipo consiste nelle decisioni
inerenti il bilanciamento del portafoglio; il secondo tipo consiste nelle decisioni che
riguardano l’allocazione delle risorse tra le diverse unità di business.
Il primo tipo di decisioni sulla composizione del portafoglio consiste nel bilanciamento del
portafoglio. In questo caso, il management è chiamato a valutare la composizione del
portafoglio d’impresa, valutando, da un lato, l'opportunità di estendere il portafoglio e,
dall’altro, la necessità di concentrarlo.
Il secondo tipo di decisione sul portafoglio di impresa riguarda l’allocazione delle risorse. Il
management a livello corporate stabilisce come utilizzare le risorse finanziarie del gruppo,
definendo i flussi finanziari che si devono avere tra le diverse unità di business.
Prima di passare alla descrizione di alcuni modelli utilizzati per la definizione della
strategia corporate, si precisa che se l’impresa si identifica in un’unica business unit allora
la strategia corporate coincide con la strategia business, mentre se l’impresa opera in più
business avrà probabilmente più strategie anche molto diverse tra loro.
La matrice BCG
La matrice (cfr. Figura 2) è costruita su due sole variabili: il tasso di crescita del mercato e
la quota di mercato relativa, cioè la quota posseduta dalla unità di business. L’incrocio tra
le due variabili dà origine a quattro quadranti che rappresentano quattro categorie-tipo di
BU (Business Unit).
Nel quadrante delle “stars” si collocano unità di business con elevata quota di mercato,
che operano in mercati che si trovano nella fase di crescita del ciclo di vita. Nel quadrante
dei “question marks” si collocano unità di business che operano in mercati nella fase di
introduzione/crescita, ma che hanno una bassa quota di mercato relativa con prospettive
Per le “stars” gli utili sono abbastanza elevati ed in crescita; vi sono tuttavia esigenze di
elevati investimenti per sostenere la crescita, per cui si possono manifestare comunque
flussi di cassa negativi. Per i “question marks” gli utili sono bassi, instabili e in crescita; i
flussi di cassa sono negativi. Le “cash cows” rappresentano la condizione ideale in cui
potrebbe trovarsi una unità di business. Sia gli utili sia i flussi di cassa sono elevati e
stabili. Nella fase “dog” la situazione non è sempre ben definita. Gli utili sono bassi ed i
flussi di cassa spesso negativi.
Nonostante la sua di usione, la matrice BCG presenta alcuni limiti tra cui si ricordano la
sua semplicistica costruzione (si basa solo su due variabili), l’orientamento al passato e
non al futuro e la sua validità solo nel caso di adozione della strategia della leadership di
costo, per la cui descrizione si rinvia alla successiva Dispensa.
Il modello, rappresentato nella Figura 3, cerca di trovare una sintesi tra l’orientamento
complessivo dell’impresa (strategia di direzione) e la presenza nei diversi settori
economici in cui opera (strategia di portafoglio). Qualunque sia la dimensione
dell’impresa, il primario obiettivo della strategia aziendale consiste nell’individuare la
direzione verso cui muovere l’intera struttura.
La strategia di direzione risponde così a una precisa domanda: quale deve essere
l’orientamento complessivo dell’impresa? Crescere, stabilizzarsi o ritirarsi?
Dal momento che un’impresa può operare in più settori (è il caso tipico delle imprese di
maggiori dimensioni), è necessario che la strategia non si limiti a indicare la direzione da
intraprendere, ma individui i settori o le aree di business in cui competere. L’obiettivo
della strategia di portafoglio consiste proprio nel dare una risposta su come gestire le
diverse aree di business per massimizzare la complessiva creazione di valore.
Dalla combinazione delle due dimensioni emergono varie opzioni per la strategia
corporate che, a seconda del diverso orientamento, possono ricondursi a tre categorie:
1. Le strategie di sviluppo sono le opzioni di maggiore interesse, visto che indicano come
primari obiettivi strategici lo sviluppo dei ricavi e dei profitti. Per crescere, sia per via
interna che esterna, l’impresa può adottare due principali strategie: la concentrazione
all'interno del settore in cui opera (celle 1, 2 e 5 della matrice) oppure la diversificazione
attraverso la quale lo sviluppo è generato al di fuori del settore (celle 7 e 8).
Le dimensioni della matrice sono alimentate dalla combinazione di alcune variabili chiave.
Pur con le dovute personalizzazioni, l’attrattività del settore e la posizione competitiva
sono determinate dai medesimi fattori per i vari settori/mercati presi in esame.
Per esempio, le variabili che conducono a definire quanto il settore è attraente sono il
tasso di crescita e i margini di profitto del mercato, l’intensità della concorrenza, la
presenza di fattori stagionali e ciclici, le condizioni dell’ambiente esterno (sociale, politico,
economico), la qualità e la quantità di opportunità presenti sul mercato, le minacce alla
Tuttavia, il modello proposto non può considerarsi esauriente e completo per la presenza
di alcuni limiti che sembrano comuni alla modellistica applicata nella pianificazione
strategica (Wheelen e Hunger, 2000; Heracleous, 2003). Il modello tende infatti a trattare
le aree di business come indipendenti, focalizza la propria attenzione su strategie
tradizionali che potrebbero non avere successo e comunque non cogliere tutte le
opportunità di mercato, non è scientificamente rigoroso perché si basa su giudizi
personali.
La definizione di tali piani deve avvenire in modo coerente con i risultati dell’analisi SWOT
(ovvero le opportunità e le minacce del settore, i punti di forza e di debolezza dell’unità di
business) e le decisioni prese a livello corporate, che comprendono l’ammontare ed il tipo
di risorse allocate all’unità di business.
● la strategia competitiva che indica come l’unità di business intende posizionarsi per
creare valore per i suoi clienti in modo di erente dai suoi concorrenti; nella fattispecie,
la strategia competitiva si configura come un integrato e coordinato insieme di
impegni e azioni che l’impresa utilizza per conseguire il vantaggio competitivo facendo
leva sulle competenze chiave in uno specifico mercato;
● la strategia di crescita dell’azienda, che può avvenire per linee interne o esterne
(acquisizioni di altre società) o può invece prevedere la stabilità dell’impresa nella
situazione in cui si trova (quindi, opzione di non crescita).
● le competenze chiave sono costituite dalle risorse e capacità che costituscono la fonte
del vantaggio competitivo dell’impresa;
● infine, la strategia a livello business è l’insieme di azioni intraprese per creare valore ai
clienti e costruire il vantaggio competitivo sfruttando le competenze chiave in uno
specifico, individuale mercato.
Come già indicato nella Dispensa#5, nella selezione della strategia a livello business
l’impresa determina:
a. chi vuole servire (ovvero, decide a quali segmenti di mercato rivolgere l’o erta d
prodotti/servizi);
b. quali bisogni dei clienti target vuole soddisfare (e, quindi, stabilisce come
di erenziare i propri prodotti/servizi da quelli dei concorrenti);
c. come soddisfare i bisogni (e, quindi, su quali competenze distintive fare leva).
Leadership di
costo Di erenziazione Focus
Di erenziazione Bassa
di prodotto (principalmente Alta (principalmente da bassa ad alta
dipende dal prezzo) dipende da unicità) (prezzo o unicità)
Le più comuni azioni che conducono al risparmio di costi richiesto dalla strategia sono: la
costruzione di impianti e cienti (“e cient scale plant”); lo stretto controllo dei costi di
produzione e di struttura; la minimizzazione dei costi di vendita, ricerca e sviluppo e
assistenza; il monitoraggio dei costi delle attività fornite da terzi e la semplificazione del
processo produttivo.
La strategia in oggetto mira a rendere massimo il valore fornito al cliente grazie alle
uniche caratteristiche del prodotto/servizio; ciò consente di realizzare un “premium price”
(ovvero un prezzo superiore a quello dei concorrenti) grazie all’elevato servizio fornito al
cliente, alla qualità superiore, al prestigio o esclusività del bene o del servizio prodotto.
Tuttavia, alcuni rischi possono interessare l’adozione di tale strategia. Per esempio, i
clienti possono decidere che il di erenziale di prodotto (premium price) sia troppo alto;
allo stesso tempo, gli elementi di di erenziazione (e.g. le caratteristiche uniche del
prodotto, le esclusive performance, l’eccezionale servizio, la qualità degli input) possono
finire di fornire valore per i quali i clienti sono disposti a pagare (si pensi al venire meno
dell’e etto di richiamo esercitato da un marchio). Infine, i produttori di beni o servizi
similari possono tentare di replicare gli elementi di di erenziazione dei prodotti
dell’impresa leader (cosiddetto e etto imitazione).
Tra i fenomeni che spingono l’impresa a perseguire una focus startegy si segnalano i
seguenti: le grandi imprese possono trascurare le piccole nicchie di mercato; l’impresa
può non avere le risorse per competere nel mercato più ampio; la capacità di servire il
segmento di mercato di nicchia più e cientemente che gli altri operatori più grandi; il
focus può consentire all’impresa di indirizzare le risorse su certe attività della catena del
valore per costruire il proprio vantaggio competitivo.
Rivalità tra I concorrenti evitano la guerra dei La fedeltà alla marca attenua la
imprese prezzi con leader di costo competizione sui prezzi
La strategia del ciclo di vita è il set di azioni integrato che l’impresa può decidere di porre
in atto in una specifica fase del suo ciclo di vita che può essere distinto in: introduzione,
sviluppo, consolidamento, maturità e declino (per un approfondimento sul modello del
ciclo di vita si rimanda a quanto presentato nella Dispensa #7).
Nella Tavola 3 viene presentato l’obiettivo strategico di un’impresa che si trovi in una
forte (debole) posizione competitiva a secondo della fase del ciclo di vita in cui si trova.
Le strategie di crescita
Il piano operativo è un piano “step by step” per l’implementazione del piano strategico.
Più il piano strategico è ben costruito, più facile sarà implementarlo attraverso piani
operativi e caci.
I piani operativi devono coprire tutte le aree funzionali per cui è richiesta
l’implementazione – governo d’azienda, credito, finanza, marketing, rete di vendita, IT,
etc. – da cui deriva l’associazione con il termine di strategia funzionale. Ogni area deve
inviare budget e piani dettagliati che devono essere inclusi nei piani operativi. I piani
funzionali devono contenere:
● Essere comunicati in modo chiaro a tutti coloro coinvolti nella loro esecuzione.
Un modo per valutare e controllare un piano operativo è rappresentato dal budget, che
alloca le risorse e coordina l’utilizzo delle attività. I bugdet di area sono di solito di breve
periodo e devono essere preparati nel rispetto dei seguenti requisiti: a) semplici e facili da
capire; b) utilizzati per le aree che si devono monitorare; c) non influenzare le decisioni:
sono uno strumento del management, non la guida della gestione.
Uno dei problemi del budget è che, spesso, è solo di natura economica e finanziaria. Il
piano strategico copre molte aree non strettamente di natura economica e finanziaria
(marketing, relazione con il cliente, gestione delle risorse umane, ...) Pertanto, è utile
avere un sistema di misurazione per le aree non finanziarie.
In tale ambito, uno degli strumenti che stanno riscuotendo successo è la Balanced
Scorecard (che include anche misure di natura economica) e che è costruita intorno al
piano strategico. Come quest’ultimo, la migliore BS deve essere semplice e facilmente
gestibile.
Il Marketing
La definizione di marketing
La definizione formale:
“The process of planning and executing the conception (product), pricing, promotion, and
distribution of ideas, goods, and services to create exchanges the satisfy individual and
organizational objectives.”
La definizione reale:
Inoltre, come mostrato nella Figura 1, nel corso del tempo si è assistita a un’evoluzione
del marketing che ne ha favorito l’applicazione a settori non tradizionali (musei, parchi
tematici, sport, concerti) e a temi e argomenti non tradizionali (marketing “ambientale”,
“territoriale”, “politico”)
● Creare/stimolare la domanda
La relazione tra profitto e soddisfazione del cliente è funzione di tre variabili: a) i clienti
soddisfatti tendono a ripetere l’acquisto del prodotto (e, quindi, minori costi di contatto
per l’azienda), acquistano prodotti/servizi dai margini più alti e sono più fedeli (meno costi
pubblicitari e promozionali per trattenere il cliente).
La relazione tra profitto e crescita dell’impresa è funzione di altre tre variabili: a) i clienti
soddisfatti tendono ad acquistare altri prodotti/servizi dell’impresa (e, quindi, maggiori
economie di scopo per l’azienda), sono buoni testimonial e, quindi, fanno positiva attività
di “passaparola” e sono più attenti a considerare il lancio di nuovi prodotti/servizi offerti
dall’azienda).
Il processo di marketing
Tutte le decisioni che riguardano l’impresa e il mercato dovrebbero essere assunte solo
dopo aver svolto la fase analitica (investigativa).
La fase analitico-conoscitiva
Per l’analisi dell’offerta, si rinvia a quanto descritto nella Dispensa #7. In questa sede, si
ricorda solo che il marketing deve consentire all’impresa di ottenere un vantaggio sui
La rivalità tra imprese si manifesta con riferimento alla conquista delle preferenze della
domanda. La lotta tra imprese si sviluppa solo se tra le varie offerte ci sono delle diversità
apprezzabili. Questo comporta che la concorrenza tra aziende si manifesta
essenzialmente nella differenziazione dell’offerta.
In termini di analisi della domanda, l’impresa deve capire i bisogni dei clienti, la loro
domanda e la loro propensione e modalità di consumo.
I bisogni. Ogni individuo ha una serie di bisogni che si palesano con vario grado di
intensità, sono in gerarchia e diversamente distribuiti nel tempo. Il numero dei bisogni
che il consumatore vorrebbe soddisfare è illimitato e la serie che può essere soddisfatta
dipende principalmente dalle possibilità economiche.
Il Processo di Marketing
Il processo di marketing si compone di una sequenza di azioni che possono così essere
riassunte:
3. Target marketing:
4. Posizionamento di mercato:
Gli obiettivi di tale fase sono capire due elementi chiave di ogni mercato:
L’analisi delle tendenze serve per comprendere i trend della domanda e i suoi driver al fine
di stimare l’andamento futuro dei mercati. Gli strumenti usati sono l’analisi dei driver e
modelli di natura statistica (correlazioni/regressioni). Un semplice ma importante
indicatore è il tasso medio annuo di crescita, che misura la crescita media composta in un
certo periodo e non la crescita anno su anno (cfr. Figura 2).
Figura 2: Il tasso medio annuo di crescita
Per selezionare i segmenti di clientela che l’azienda vuole servire, una possibile
metodologia consiste nell’evidenziare il gap esistente tra il modello di offerta dell’impresa
e la domanda di servizio espressa dai segmenti di clienti individuati nella precedente fase
del processo. Analizzando i risultati emersi dalla segmentazione, è possibile individuare il
livello di priorità assegnato da ogni target di clientela ad alcune specifiche variabili
rappresentate sull'asse delle ascisse della Figura 4: ampiezza e profondità della gamma
(contenuto di prodotto), performance e personalizzazione del servizio (contenuto e
modalità di servizio), accesso al servizio e innovazione tecnologica (tipologia di
interfaccia/canale). Esprimendo su una scala graduata le diverse esigenze dei segmenti
esaminati (asse orizzontale della figura) e confrontandole con i vantaggi competitivi
dell’impresa (linea tratteggiata della figura), si evidenzia la corrispondenza tra i diversi
profili della clientela private e il modello di offerta aziendale. Nella fattispecie, l’impresa
decide di orientarsi verso il segmento più sofisticato, ovvero quello dei clienti "Concorde".
Figura 4: La fase di targeting
L’obiettivo del posizionamento è fissare nella testa del target market il prodotto/servizio
offerto. La domanda chiave è quindi: come il mercato target percepisce il
prodotto/servizio offerto?
Come ricorda Kotler, “il posizionamento consiste nel definire l’offerta dell’impresa in
modo tale da consentirle di occupare una posizione distinta e apprezzata nella mente dei
clienti obiettivo”.
La definizione di come e dove l’azienda vuole posizionarsi sul mercato fa capire in quale
modo l’impresa vuole differenziarsi dagli altri concorrenti (essere migliori, più veloci, più
puntuali, meno cari, offrire maggiore varietà ....). In una parola, fa capire quali sono i punti
di forza su cui l’impresa punta per conseguire il proprio vantaggio competitivo dato che
identifica i fattori più rilevanti per i clienti, aiuta a capire quali sono i fattori che
Le 4P e il Piano di Marketing
Le 4 P
Definiti i mercati target e il relativo posizionamento, diviene importante scegliere il marketing mix,
ovvero controllare le variabili che l’impresa utilizza insieme per soddisfare il target di clienti
selezionato.
• Promotion (promozione): comprende le varie attività che l’impresa svolge per informare la
clientela obiettivo sui propri prodotti cercando di stimolarne l’acquisto (pubblicità,
promozione della vendita)
• Place (distribuzione): in tale fase rientrano tutti gli elementi sui quali l’impresa deve operare
per rendere il prodotto accessibile e disponibile ai potenziali clienti (scelta dei canali
distributivi, organizzazione della vendita)
• Price (prezzo): riguardano le decisioni che l’impresa deve adottare in termini di definizione del
prezzo di vendita, sconti, termini e modalità di pagamento. I prezzi di vendita devono essere
conformi alla percezione di valore che hanno i potenziali clienti, per evitare che si rivolgano
alla concorrenza
Dal punto di vista del cliente, il marketing mix può così esser visto:
Le 4P sono oggetto della fase operativa del marketing e, come indicato in Figura, sono strettamente
collegati ai risultati della fase analitico-conoscitiva (cfr. Dispensa#12).
In tale ambito, l’impresa deve analizzare e valutare tutti gli strumenti a disposizione per creare una
strategia di marketing adeguata ad entrare nel mercato e competere con la concorrenza. In altri
termini, l’impresa deve definire la sua politica di prodotto, la sua politica di prezzo, la sua politica la
sua politica distributiva e la sua politica comunicativa (pubblicità e promozione).
• La politica del prezzo è uno dei più efficaci strumenti del marketing
• Le strategie vanno definite in modo da raggiungere gli obiettivi a breve e lungo termine
Politica di prodotto
• Quali sono gli aspetti migliorativi del prodotto (o gli elementi aggiuntivi di servizio)?
• Quali sono gli aspetti di unicità del prodotto/servizio (ulteriori elementi che creano ulteriore valore
per il consumatore)?
Politica distributiva
Politica comunicativa
Il piano di marketing
Più precisamente, il contenuto del Marketing Plan può essere così schematizzato:
• Sommario esecutivo
• Strategia di marketing
• Stime numeriche
Una volta redatto, il piano deve essere implementato. L’implementazione è un processo che si
articola nelle seguenti fasi:
Fase 1: Organizzazione
• Ottimizzare i tempi e garantire la sufficiente flessibilità nel rispetto delle scadenze previste
• Fornitori
• Canali di distribuzione
Il processo produttivo1
● l’integrazione verticale
● le economie di scala
1
La stesura del presente paragrafo trae spunto dal capitolo 8 del manuale di A. Lipparini (a cura di),
Economia e gestione delle imprese, Bologna, Il Mulino, 2007.
- il lavoro va studiato scientificamente mediante l’analisi dei tempi e dei movimenti degli
operatori al fine di individuare le tecniche ottimali per ogni attività che assicurino la
maggiore produttività;
- occorre analizzare le capacità individuali di ogni operatore per identificare quale tipo di
lavoro affidare a ognuno;
L’incontro tra le idee di Ford e quelle di Taylor produce un tipo di impresa verticalmente
integrata e di grandi dimensioni.
Il modello fordista di organizzazione della produzione viene messo in discussione nei primi
anni ’70. Tre sono stati i fattori di crisi:
● la saturazione dei mercati domestici dei beni industriali durevoli. Con l’assioma
fordista della crescita indefinita dei volumi di produzione va in crisi anche l’assunto di
base delle economie di scala, ovvero che a volumi sempre crescenti corrispondano
costi industriali e prezzi al consumo sempre decrescenti e che questo generi sempre
nuova domanda;
● lo shock petrolifero, che mette in crisi l’idea dei prezzi degli input progressivamente
decrescenti grazie all’aumento dei volumi produttivi;
Alla saturazione dei mercati occidentali, che diventano mercati di sostituzione, si risponde
non più con la logica delle economie di scala, ma con i risparmi interni alla produzione,
rendendola adattabile alla fluttuazione della domanda per evitare crisi di
sovrapproduzione. Il mercato saturo richiede di accelerare i tempi di sostituzione
rendendo i beni già posseduti obsoleti. L’innovazione tecnologica in tale fase svolge un
ruolo centrale: rende possibile la realizzazione di prodotti con nuove prestazioni e la
A partire dagli anni ’80 si afferma quello che oggi è considerato un nuovo paradigma: il
“lean manufacturing” o produzione snella. Gli impianti a esso ispirati permettono di far
giungere rapidamente sul mercato prodotti caratterizzati da un’elevata varietà e una
maggiore qualità in termini di affidabilità e durata.
● processi ibridi.
I processi “ibridi” combina elementi delle due precedenti tipologie di processo. Un bene
standard viene prodotto su previsione e tenuto in scorta in un certo punto del processo e
poi completato con le personalizzazioni richieste dal cliente al momento del ricevimento
dell’ordine.
In funzione alla struttura della distinta base del prodotto finito si hanno poi:
● sistemi produttivi “per processo”, in cui il prodotto finito non può essere scomposto
nei componenti originari impiegati per produrlo; esempi di questo tipo corrono a beni
quali acciaio, prodotti chimico-farmaceutici, carta caratterizzati da un “ciclo
tecnologico obbligato”;
● sistemi produttivi “per parti”, comprendenti sia la fase di fabbricazione sia quella di
montaggio. Ci si riferisce, in questo caso, alla produzione di beni quali automobili,
calzature, elettrodomestici, che si caratterizzano per cicli con numerose varianti
definiti con il termine “ciclo tecnologico non obbligato”.
Per un’impresa, la scelta del processo produttivo da utilizzare è una decisione strategica.
Per effettuare tale scelta, partendo da determinati obiettivi, occorre conoscere i caratteri
distintivi dei diversi processi. Se ne possono identificare almeno quattro tipologie
fondamentali:
● “job shop”, detto anche “laboratorio” o “per reparti“ e utilizzato nella produzione su
commessa. Rientrano in questa tipologia le produzioni artigianali, la costruzione di
prototipi o i servizi di riparazione;
E’ utile rappresentare le principali differenze tra diversi processi produttivi con la “matrice
prodotto-processo”2 rappresentata di seguito dove sugli assi vengono riportati la varietà
del mix di prodotto e la tipologia del processo produttivo.
Relativamente ai tipi di processo, invece, e con riferimento al flusso, i due estremi sono
rappresentati dal flusso frammentario e dal flusso continuo automatizzato.
Tra questi si collocano una tipologia di flusso discontinuo con una linea tipo e il flusso
condizionato dai ritmi della manodopera e delle linee di produzione.
2
R.H. Hayes e S.C. Wheelwright, Link Manufactoring Process and Product Life Cycles, in “Harvard
Business Review”, gennaio-febbraio, 1979, pp. 133-140.
Nella parte destra sono riportati alcuni obiettivi critici relativamente alla scelta dei
processi. A un estremo ci sono le operazioni di scheduling, l’affidabilità delle consegne e la
capacità di far fronte alle strozzature nella produzione. In corrispondenza del flusso
continuo automatizzato, invece, troviamo le decisioni di investimento in nuova capacità
produttiva e le scelte di integrazione verticale, gestione dei materiali e delle nuove
tecnologie.
Tra i due estremi, fattori critici risultano essere la motivazione delle maestranze, il
bilanciamento delle capacità produttive nei diversi segmenti del processo, la flessibilità e
l’elasticità dei diversi impianti.
Gli approvvigionamenti1
Le attività di approvvigionamento
1
La stesura del presente paragrafo trae spunto dal capitolo 9 del manuale di A. Lipparini (a cura di),
Economia e gestione delle imprese, Bologna, Il Mulino, 2007.
2
Adattato da A.J. Van Weele, Purchasing and Supply Chain Management: Analysis, Planning and
Practice, IV ed., London, Thomson International, 2005.
● la definizione delle specifiche: quando l’acquisto viene effettuato per la prima volta, è
necessario fissare le caratteristiche tecnico-merceologiche del bene o del servizio da
acquistare e i quantitativi di riferimento su cui si prevede dovrà assestarsi la fornitura,
gli aspetti logistici del servizio che dovrà essere garantito, i vincoli ambientali e legali
da rispettare, il prezzo di riferimento cui tendere. Solo dopo aver costruito un quadro
di riferimento abbastanza esaustivo si potrà avviare la ricerca del fornitore;
● la ricerca e la selezione: se tra i fornitori attivi non sono presenti imprese in grado di
rispondere alle nuove esigenze è necessario avviare una ricerca di un nuovo supplire.
Dopo aver individuato nuovi potenziali fornitori, si procede alla formulazione e all’invio
delle richiesta di offerte. Il processo continua con l’analisi delle offerte ricevute per
individuare l’interlocutore o il gruppo di interlocutori con cui è preferibile instaurare la
relazione. La decisione di rivolgersi ad uno o più fornitori è un momento fondamentale
della definizione delle politiche di approvvigionamento. Tra i vantaggi conseguibili
rivolgendosi a più fornitori vi è, per esempio, l’opportunità di attivare forme di
competizione che consentono di ottenere migliori condizioni di acquisto, la possibilità
di sostituire più facilmente un fornitore, la riduzione dei rischi di mancata consegna, la
maggior elasticità e flessibilità, l’attenuazione della dipendenza dall’esterno. Al
contrario, i vantaggi di operare con un unico fornitore possono essere, per esempio, la
possibilità di realizzare maggiori economie di scala, di ottenere un impegno del
fornitore, di aumentare la solidità dei rapporti e la durata delle relazioni, sviluppando
processi di apprendimento che migliorano efficacia ed efficienza;
● l’ordine: definiti gli elementi del contratto viene emesso l’ordine che contiene le
condizioni contrattuali. Il contenuto e il grado di formalizzazione dell’ordine dipendono
dall’oggetto della transazione e dalle norme vigenti nell’ordinamento giuridico;
● la valutazione: tale attività consiste nella valutazione del rapporto di fornitura che
dovrebbe essere fatta con riferimento alle capacità operative dimostrate dal fornitore,
ai fattori di ordine economico-finanziario, alle possibilità di sviluppo della relazione.
Ognuno di questi gruppi di elementi assume diversa rilevanza a seconda del tipo di
acquisto. Le capacità operative sono il modo con cui il fornitore riesce a soddisfare le
esigenze dell’impresa dal punto di vista qualitativo e di puntualità delle consegne.
Passando ai fattori di ordine economico-finanziario il giudizio circa la congruità dei
prezzi quotati dal fornitore rappresenta uno dei momenti più delicati dell’attività di
approvvigionamento; dal punto di vista finanziario la valutazione dovrebbe appurare la
capacità del fornitore di costituire una fonte di finanziamento alternativa e il costo di
tale finanziamento. Le possibilità di sviluppo della relazione di fornitura devono essere
valutate quando l’impresa può correre il rischio di operare con fonti di rifornimento che
non riescono a coprire il fabbisogno quantitativo e non danno sufficienti garanzie di
sviluppo;
Le categorie di acquisto
● Materie prime: sono materiali che non hanno subito ancora alcuna trasformazione e
costituiscono il punto di partenza della produzione.
● Semilavorati e prodotti di fase: sono già stati sottoposti ad una o più trasformazioni
ed entreranno a far parte integrante del prodotto finale dopo aver subito ulteriori
trasformazioni.
● Componenti: non devono più subire alcun processo di trasformazione e sono destinati
ad essere assemblati ad altri con i quali interagiscono in modo funzionale per costruire
il prodotto finale.
● Prodotti finiti: hanno una loro identità funzionale e non devono più subire
trasformazioni significative.
● Servizi: sono attività svolte da terzi in base a contratti di acquisto (ad esempio i servizi
di pulizia, di portierato, di elaborazione dati, di logistica)
A parità di altre condizioni, l’eterogeneità degli acquisti può essere affrontata fissando
linee-guida che indirizzino verso modalità diverse a seconda delle caratteristiche principali
del bene da acquistare.
A questo scopo è utile distinguere gli acquisti in base al loro valore di acquisto e in base
alla differenza tra “commodities” e “specialities”.
Utilizzando le variabili come assi di una matrice, illustrata nella fig. 20.2, si identificano
quattro tipologie di acquisto a ognuna delle quali è associato uno specifico approccio.
A fronte di acquisti a basso valore è opportuno evitare metodi che generino impieghi
consistenti di risorse o alti costi di gestione e amministrativi. L’approccio consigliato è di
tipo tradizionale per le specialities e di acquisto tramite e-purchaising per le commodities.
Per e-purchaising ci si riferisce ad acquisti effettuati tramite web su mercati virtuali
(e-market places) dove è possibile incontrare un numero di fornitori molto elevato.
3
M. Boldrini, Il make or buy strategico si fa nell’ufficio acquisti, in GEA (a cura di), Il Supply chain
management dalla teoria alla pratica, Torino, ISEDI, 2005, p. 134.
La differenziazione esistente tra i diversi beni e servizi acquistati è un dato essenziale per
definire le politiche di approvvigionamento. Gli acquisti possono essere raggruppati in un
portafoglio (cfr. Figura 20.3), composto da quattro quadranti che riflettono il diverso
grado di importanza per l’impresa acquirente e la diversa rischiosità dei mercati in cui
quest’ultima si trova ad operare.
Fig. 20.3: Il portafoglio acquisti4
Gli indicatori utilizzati possono essere il rapporto tra il costo di acquisto del particolare e il
costo complessivo del prodotto in cui viene impiegato, oppure il contributo del bene
acquistato alla qualità del prodotto finale o alla sua differenziazione rispetto all’offerta
dei concorrenti.
Il grado di rischiosità può essere misurata in reazione alle difficoltà che l’impresa incontra
sul mercato di fornitura.
4
P. Kraljic, Purchasing Must Become Supply Management, in “Harvard Business Review”, 5, 1983,pp.
109-117.
In ottica strategica, l’obiettivo da conseguire è la disposizione del bene nel lungo periodo.
Per particolari che costituiscono “colli di bottiglia”, l’obiettivo è quello di garantire
l’alimentazione del flusso. Di fronte agli acquisti che presentano un effetto “leva” (quelli
che incidono significativamente sulla redditività e per i quali una variazione unitaria del
costo si riflette pesantemente sul profitto) l’obiettivo è quello di tenere sotto controllo le
variabili economiche agendo sia sui prezzi sia sulle giacenze dei materiali. Infine, per gli
acquisti “non critici” sono sufficienti i criteri di gestione tradizionali e l’obiettivo è quello
dell’efficienza.
I dipendenti dell’impresa devono essere messi a conoscenza della strategia che loro stessi
sono chiamati a mettere in atto. E’ perciò fondamentale comunicare ai dipendenti di tutti
i livelli quali sono le esigenze dei clienti, quali sono gli obiettivi da raggiungere e le risorse
a disposizione, come la strategia deve essere portata a compimento e con quali scadenze,
cosa si richiede a ogni collaboratore al fine di realizzare la strategia. Ciò fa sì che tutti si
sentano coinvolti e diano il loro prezioso apporto di suggerimenti (apporto che deve
chiaramente essere gestito in modo sistematico).
Percorso storico
Il Taylorismo
Il “funzionalismo” e il “contingentismo”
Dagli anni ’40 sino agli anni ’70 prende vita l’idea che i problemi organizzativi debbano
essere affrontati tenendo presenti sia le variabili tecniche sia le variabili individuali e
sociali. A tale riguardo, vi sono numerosi contributi scientifici che vengono classificati
nelle correnti del “funzionalismo” e del “contingentismo”.
Il pensiero “contingentista”, sviluppatosi agli inizi degli anni ’60, si caratterizza per un
atteggiamento meno deterministico e per la grande attenzione riposta al rapporto tra
organizzazione e ambiente. L’innovazione principale risiede nel ritenere l’organizzazione
non più come un sistema chiuso ma aperto, soggetto quindi all’influenza di “contingenze”
esterne (i.e. l’evoluzione tecnologica, il contesto sociale, l’incertezza ambientale).
Il leader è colui che sa guidare un gruppo di persone; è colui che conduce la squadra al
raggiungimento degli obiettivi.
E’ possibile distinguere tre periodi storici che hanno accompagnato l’evoluzione del ruolo
del capo, sia dal punto di vista della “filosofia” organizzativa sia da quello della leadership.
1
R.K. Merton, Social Theory and Social Structure, New York, Free Press, 1949; trad. it. Teoria e struttura
sociale, Bologna, Il Mulino, 1959;
Si sviluppa in questa fase uno stile di leadership che si colloca tra il “paternalista” e il
direttivo, basato sostanzialmente sulle competenze tecniche, sull’esempio e sulle
attenzioni ai bisogni primari dell’individuo. E’ una gestione caratterizzata da un
orientamento all’efficienza e al controllo sociale nell’ambiente di lavoro, da cui tuttavia
rimane esclusa ogni dialettica; nei casi migliori si può parlare di una cultura organizzativa
che trasmette disciplina morale e organizzativa. Il capo ha un profilo sostanzialmente
fondato sulla gerarchia e sull’anzianità.
2° fase. Con gli anni ’70 le organizzazioni sposano l’approccio sistemico, nel quale l’area
soft diventa importante quanto l’area hard. Questa trasformazione incide notevolmente
sull’evoluzione del ruolo di capo, che è chiamato a presidiare la stretta connessione tra
tutte le variabili del funzionamento aziendale.
Il gestore di risorse umane rappresenta uno snodo fondamentale di diffusione della nuova
cultura organizzativa ed è chiamato a uno stile di leadership che orienti in tal senso i
comportamenti dei collaboratori. Assumono ora valore le abilità manageriali di:
● valutazione dei risultati e delle prestazioni, utile per una gestione il più possibile
meritocratica, equa ed obiettiva.
Il framework concettuale ripercorre in parte gli aspetti della seconda fase. Pone
attenzione ai risultati attraverso l’ottimizzazione delle capacità e delle attitudini dei
collaboratori, non abbandonando quindi la logica manageriale, ma al contrario
aggiungendo grande enfasi ai seguenti aspetti:
● aspetto sociale: il “capo” è il sensore del clima del gruppo, è colui che costruisce la
squadra, promuove iniziative di “knowledge management” (diffusione della
conoscenza attraverso meccanismi operativi come le riunioni periodiche frequenti,
intranet o simili, gruppi di miglioramento, ...);
E’ in questa fase che il sistema di valutazione delle prestazioni diventa sempre più uno
strumento fondamentale di gestione delle risorse umane.
Oggi, la maggiore criticità che la gestione delle risorse umane deve affrontare è legata al
cambiamento: anche le organizzazioni complesse non possono esimersi da una logica di
“changing”, ovvero di trasformazione continua che rappresenta l’evoluzione stessa
dell’organizzazione.
Gli incentivi
L’impresa di successo vince la partita competitiva con il gioco di squadra tra persone con
elevate competenze professionali. Perciò l’impresa deve motivare e supportare i propri
addetti perché questi riescano ad adeguarsi alle variazioni tecnologiche e di mercato; in
tale contesto, l’impresa non deve dimenticarsi della risorsa uomo motivandola verso il
raggiungimento di migliori prestazioni.
A questo proposito, è importante che l’impresa, nel gestire gli incentivi, non pensi solo
allo scopo generico di stimolare il lavoratore a un maggiore impegno, bensì a quello
cruciale di favorire l’ottenimento delle prestazioni chiave per il miglioramento della
posizione dell’impresa nell’arena competitiva.
Vale la pena sottolineare che gli incentivi non devono necessariamente essere solo
economici: un’ azione come quella di rendere pubblica, all’interno dell’azienda, la
performance di ogni reparto, può promuovere un sano spirito agonistico (non
antagonistico!) che spinga al miglioramento anche i reparti all’inizio più riluttanti verso il
cambiamento organizzativo teso al miglioramento della performance. Quello che è certo,
è che il sistema di incentivi deve essere tale da promuovere il lavoro di squadra e deve
essere attentamente monitorato per evitare che diventi disincentivante. Perché
l’incentivo svolga la sua azione, è bene che sia legato a performance chiare in modo da
favorire il reale coinvolgimento e la responsabilizzazione dei dipendenti.
● gli incentivi devono essere coerenti con la strategia di business perché orientati a
migliorare la competitività dell’impresa;
● l’incentivo deve essere legato a obiettivi sui quali l’addetto o il gruppo di addetti può
ragionevolmente influire;
● il meccanismo dell’incentivo, ossia la formula che lega gli obiettivi al premio, deve
essere sufficientemente semplice da essere comprensibile a tutti gli addetti;
● gli incentivi devono essere legati a obiettivi ragionevolmente raggiungibili (per questo
è utile basarsi su dati storici eventualmente manipolati in relazione alle variate
condizioni del mercato e della concorrenza);
● è più stimolante un incentivo di tipo graduale piuttosto che uno del tipo “tutto o
niente”;quando il sistema di incentivazione viene introdotto è bene anche stimolarne
l’accettazione, stabilendo degli obiettivi quasi certamente raggiungibili. Il sistema di
incentivazione deve diventare a tutti gli effetti uno strumento di management
L’impresa è quella unità del sistema economico la cui principale funzione consiste nel
produrre beni o servizi attraverso la combinazione organizzata dei fattori di produzione.
L’attività economica viene realizzata attraverso un insieme di forze (capitale umano) e di
fattori produttivi (mezzi materiali e conoscenze) organizzati e coordinati.
● GESTIONE ECONOMICA
● GESTIONE FINANZIARIA
● GESTIONE MONETARIA
Nella Figura 1 sono rappresentati gli elementi caratteristici e gli obiettivi dei tre aspetti
della gestione aziendale.
Il processo ha inizio quando una sola persona (aziende individuali) o un gruppo di persone
(aziende collettive) si associa per intraprendere un’attività imprenditoriale. Per costituire il
capitale iniziale, ogni socio versa una determinata somma di denaro oppure cede dei beni
(conferimenti) o, ancora, si ottengono mezzi finanziari in prestito da terzi (finanziamenti).
Avviata l’attività, l’impresa può procedere alla collocazione sul mercato del bene prodotto
o del servizio offerto concedendo, eventualmente, credito agli acquirenti. Con la vendita
delle merci o dei prodotti si ottengono nuovi mezzi finanziari con i quali si possono
effettuare nuovi acquisti di fattori produttivi o rimborsare i finanziamenti ottenuti (cfr.
Figura 2).
L’impresa per potere permanere come unità autosufficiente all’interno del sistema
economico deve perseguire l’equilibrio finanziario ed economico delle operazioni poste in
essere nel corso dell’esercizio della sua attività.
L’equilibrio economico riguarda il fluire dei costi e dei ricavi di gestione. Tale equilibrio
esprime la necessità che l’impresa consegua ricavi in misura tale da consentire l’integrale
copertura dei costi correlativi e, inoltre, di ottenere un margine di reddito per remunerare
adeguatamente il capitale proprio e per sostenere lo sviluppo.
L’equilibrio finanziario riguarda il fluire delle entrate e delle uscite. Le entrate provenienti
dalle diverse fonti devono assicurare la piena copertura delle uscite via via richieste, il che
presuppone un assiduo e reciproco adattamento fra provviste e impieghi di capitale.
L’equilibrio finanziario è così una condizione che va perseguita in via continuativa.
La capacità di reperire fonti per sostenere gli impieghi aziendali deve avvenire nel rispetto
dell’equilibrio finanziario.
Il fabbisogno finanziario
Dal momento che l’impresa opera in continua interrelazione con l’ambiente esterno,
estremamente turbolento, diviene fondamentale per la gestione finanziaria determinare
il fabbisogno finanziario e le possibili leve che consentono di controllare la formazione del
fabbisogno stesso.
E’ opinione diffusa che il termine fabbisogno finanziario indichi il volume delle risorse da
richiedere ai terzi, e, in particolare modo, alle banche. Occorre sottolineare come tale
concetto non sia corretto.
Infatti, ricorrendo ai diversi contributi teorici, tra le tante definizioni offerte si preferisce
quella che indica il fabbisogno finanziario come “il volume dei mezzi finanziari che
necessitano a un’azienda per acquisire e utilizzare i fattori produttivi destinati al
compimento delle operazioni di gestione e dei processi di produzione”. Il fabbisogno
✔ La cassa assume un ruolo fondamentale nella gestione finanziaria, dato che da essa
provengono gli esborsi monetari e a essa affluiscono gli incassi.